ORVIETO: MAIOLICA TARDO-MEDIEVALE VERDE E BRUNA (ARCAICA), SECOLO XIII-XV

Orvieto ha restituito una quantità veramente enorme di maiolica tardo medievale, .  La città sorge su una rupe tufacea, con cantine e cunicoli, pozzi per raggiungere le vene sotterranee di acqua e cisterne per contenerla.  Nelle cantine furono scavati, presso gli angoli e i muri perimetrali, i cosiddetti butti, cavità a forma di cilindro allungato o a bulbo, destinate a contenere le immondizie.  La loro presenza è comune in tutte le città medievali, a causa delle leggi che vietavano ai cittadini di gettare rifiuti sulla pubblica via e, nel caso di Orvieto, persino giù dalla rupe. Quando erano pieni, venivano interrati, ed altri se ne aprivano.  Col passare dei secoli, anche cisterne e pozzi, decaduti e ormai inadatti a contenere acqua, finirono con l’essere util8izzati come butti, e qui è stata trovata la maggior parte di maiolica arcaica a noi nota.  Tali reperti cominciarono ad essere raccolti e tenuti in gran conto solo verso la fine del secolo scorso, quando iniziarono ricerche sistematiche che fruttarono  innumerevoli ritrovamenti.  Si dispersero quasi tutti in collezioni private, ma rimasero, quali testimonianze sicure, la collezione del Museo dell’Opera del Duomo e quella donata al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, interamente di scavo orvietano.  Basandosi su quanto in esse conservato, e su ritrovamenti più recenti, come quelli del palazzetto Faina, è possibile determinare alcune caratteristiche specifiche della produzione orvietana, che possono talvolta distinguerla da quella, assai simile, del Lazio settentrionale e del resto dell’Umbria.  Occorre però tenere conto che, quando parliamo di produzione medievale orvietana, ci riferiamo a tutto il territorio dominato dalla città, che era assai vasto e si estendeva, secondo un documento del 1278, per ben 1075 chilometri quadrati.  Ceramiche di tipo orvietano sono state trovate anche a Bolsena, in una rocca dei Monaldeschi della Cervara.  La maiolica orvietana è fatta di argilla chiara, depurata, il cui colore  va dal crema al rosa.   Il rivestimento maiolicato, bianco, talora con sfumature rosate, si limita alla fascia decorata, mentre il resto della superficie è coperto da un’invetriatura trasparente bruno-giallastra. C’è poi un gruppo di pezzi che, invece di essere dipinto su maiolica, lo è su ingobbio sotto vetrina, con la stessa bicromia verde e bruna caratteristica dell’Arcaico.  Le forme più frequenti sono le ciotole (che talvolta hanno anse e bordo lobato), i piatti, i vasi a corpo ovoidale senza anse, le fiasche dette “truffe”, le brocche o boccali

I boccali presentano due varianti caratteristiche nel becco, che può essere pizzicato dal torniante mentre foggia il vaso, oppure applicato dopo la foggiatura e messo in comunicazione con l’interno per mezzo di un foro.  In questo caso è generalmente molto grande, a profilo triangolare, e il boccale è tradizionalmente detto ”panata”.  La panata è assai diffusa anche nel Lazio settentrionale, mentre il becco pizzicato prevale in Toscana e nella Valle Padana.  Il ventre dei boccali, più o meno rotondo, a volte poggia su un’alta base ristretta “a piedistallo”, altre gravita direttamente sull’anello di base.  La decorazione verde e bruna può esse libera, ma il più delle volte è racchiusa entro riquadri filettati, o entro tondi se si tratta di ciotole.

Fra i motivi accessori comuni  anche altrove troviamo il “graticcio”, la “treccia” e le file di “S” disposte verticalmente ai lati del manico. I motivi principali sono geometrici (nastri, nodi), vegetali (foglie lobate di quercia, arbusti)  zoomorfi.  Questi ultimi consistono in pesci, uccelli, cervi, ma anche persone e mostri (animali dalla testa umana).  Tipicamente orvietane sembrano essere le “regine”, sirene dalla doppia coda incoronate, di cui spesso  è rappresentata solo la testa, e il “bizocone”, frate  con saio e cappuccio.  Poiché la principale funzione del boccale era quella di contenere il vino, talora vi compare una mano che alza il bicchiere ricolmo, o una scritta che allude al bere.  Tipica è anche la foggiatura a rilievo, applicata cioè  dopo la foggiatura.  Consiste per lo più in teste circondate simmetricamente da motivi vegetali su fondo a graticcio, che finiscono a pigna o a grappolo d’uva.  E’ interessante notare come molti dei motivi decorativi che compaiono sulla maiolica orvietana richiamano quelli del vasellame etrusco locale (“occhi” ai lati del beccuccio), i marmi alto medievali o i rilievi che ornano la facciata del Duomo (grappoli d’uva).  Quanto alla cronologia, si ritiene che la ceramica arcaica orvietana abbia avuto inizio nel primo quarto del secolo XIII, circa nel 1225, con tipologie decorate sia su ingobbio che su maiolica.  Nel secolo XV essa è ancora prodotta in abbondanza, ma cominciano a comparirvi i motivi più tardi delle foglie di quercia, delle corone di bacche sul ventre dei boccali, e uno smalto più bianco perché più ricco di stagno.   A Orvieto la produzione non subì interruzioni almeno fino al secolo XVII, come indicano i documenti sui ceramisti.  Non è possibile tuttavia definirne i caratteri dopo il secolo XV, a causa degli scarsi reperti conservati. 

Maioliche molto simili a quelle orvietane furono prodotte, a partire dal secolo XIII, anche in altri centri dell’Umbria, in particolare Todi, Deruta, Perugia, Assisi.  In quest’ultimo centro fu ritrovata, verso la fine degli anni sessanta, una gran quantità di cocci in una intercapedine fra il pavimento del refettorio  e le volte sottostanti, immersi nel terriccio di riempimento.  Con la loro cavità servivano probabilmente a creare una camera d’aria che assorbisse l’espansione dei materiali, dovuta al cambiamento di temperatura e all’umidità, evitando la pressione sulla muratura.  Tale uso del vasellame di scarto è comune anche altrove, ad esempio a Todi e Montalcino (volte del Palazzo Comunale).  Il vasellame, che deve risalire a prima del 1350, data presunta di costruzione delle volte, è in gran parte grezzo o rivestito di vetrina gialla o verde, ma vi è anche molta maiolica, soprattutto boccali.  Per parte di esso è probabile una fabbricazione locale, vista la presenza di scarti di fornace.  E’ noto però che il convento, avendo bisogno di grandi quantità di vasellame per accogliere i pellegrini, si riforniva anche altrove: ad esempio a Deruta, i cui vasai fra il 1355 e il 1362 consegnarono al Sacro Convento un grosso rifornimento. 

Anche Deruta dunque, nei pressi di Perugia, produceva ceramiche fin dal medioevo.  L’Arte dei vasai vi è già importante nel secolo XIII, mentre l’ordinazione del convento di San Francesco di Assisi verso la metà del secolo XIV testimonia già a quell’epoca una florida esportazione.

 

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