FAENZA: MAIOLICA TARDO-MEDIEVALE VERDE E BRUNA (ARCAICA), SECOLI XIV-prima metà del XV

Pur essendo talvolta di notevole livello, questo tipo di ceramica consiste quasi interamente di oggetti legati all’uso quotidiano, soprattutto brocche o boccali per mescere liquidi a tavola, che le fonti definiscono generalmente col termine orci

Per quel che riguarda la maiolica dipinta, i boccali costituiscono senz’altro la maggior parte dei reperti nell’area faentina.  Sono rivestiti di smalto solo nella fascia esterna, mentre l’interno è impermeabilizzato da una vetrina  trasparente, ed anche il piede si presenta nudo o soltanto invetriato.  Hanno il beccuccio a tre lobi, pizzicato dal vasaio durante la foggiatura, oppure applicato mediante una fascia di argilla incurvata, e messa in comunicazione col corpo mediante un foro.  Questo è particolarmente comune nell’Italia centrale, dove il centro più importante per questo periodo sembra essere Orvieto.  Per l’Italia settentrionale è invece Faenza, dove si hanno notizie di una produzione ceramica  fin dal 1142, grazie a un documento che cita un certo Petrus Orzolarius, Pietro il fabbricante di orci.  Si trattava certo di vasi assai semplici, di terracotta invetriata, come se ne fabbricavano dappertutto per le esigenze locali.  Molti altri orciolai dovettero esserci prima e dopo Pietro, dei quali si è perso il ricordo, poiché non mancarono mai, tra gli artigiani faentini, i vasai.

A Faenza i boccali hanno forma ovoidale piuttosto snella, oppure carenata.  In quest’ultimo caso il manico sporge in fuori l’estremità inferiore.  Gli ornati sono eseguiti a pennello in verde e  bruno, usando cioè  l’ossido di rame e di manganese, e sono di tipo zoomorfo, vegetale, geometrico, araldico.  Talvolta spiccano isolati sul ventre del boccale,  racchiusi o meno entro una cornice, oppure si ripetono a fasce,  ricoprendo tutta la superficie.  

Oltre ai boccali, la produzione trecentesca  comprende altri oggetti, ma in quantità molto minore: albarelli innanzitutto, cioè vasi  destinati a contenere spezie e misture medicinali, di dimensioni  diverse in rapporto a precise unità di misura. A Faenza hanno forma tronco-conica assai semplice, col bordo incurvato in modo da poter fissare una copertura di carta o di stoffa legandola tutt’attorno. Il contenuto veniva probabilmente scritto su delle etichette di carta incollate, poiché non esistono nel Trecento vasi con scritte dipinte dal ceramista con colori destinati alla cottura.  Vi sono anche piccole coppe emisferiche su stelo che forse fungevano da saliere, piattini, tazze, più raramente piatti. Una menzione a parte meritano i calamai  simili a ciotole con un serbatoio cilindrico al centro destinato a contenere l’inchiostro. Qui veniva intinta la penna d’oca, accuratamente affilata.

Verso la fine del secolo XIV la tipologia verde-bruna giunge gradualmente a esaurimento, pur perdurando anche nel secolo successivo:  gli ornati sono eseguiti in maniera più disinvolta, con un maggior uso di campiture verdi.  Viene inoltre introdotto nella decorazione un nuovo colore, il blu, ottenuto col cobalto e importato dalle miniere persiane.  In un numero limitato di esemplari esso si sostituisce al verde senza alcuna variazione negli schemi decorativi in uso, dando così luogo al cosiddetto arcaico blu.  L’uso di questo colore avrà però uno  sviluppo ben maggiore nel secolo seguente, su tipologie decorative del tutto diverse.

LA CENA DELL'ABATE GUIDO A POMPOSA
LA CENA DELL'ABATE GUIDO A POMPOSA

Vediamo un esempio di vasellame tardo medievale in questa tavola imbandita del 1300. L’affresco si trova nel refettorio dell’abbazia di Pomposa, e vi è rappresentata la cena del Santo Abate Guido con il suo ospite Gebeardo, arcivescovo di Ravenna, nel corso della quale avviene la trasmutazione dell’acqua in vino.  Guido degli Strambiati, il più famoso degli abati pomposani, è vissuto subito dopo l’anno Mille (la sua morte si colloca fra il 1019 e il 1036) ma il pittore, che viene chiamato Maestro del Refettorio ed ha operato verso il 1316-1320, ha raffigurato le usanze e gli arredi del suo tempo, ispirandosi presumibilmente all’ambiente romagnolo.   Vediamo dunque che la tavola è coperta da una bella tovaglia bianca, sulla quale spiccano le pagnotte, due taglieri di legno con dei pesci, e alcune ciotole anch’esse di legno contenenti le salse con cui il piatto principale veniva accompagnato.  Erano chiamate anche “sapori” (savor), e qualche volta servivano a mascherare il gusto non  proprio fresco degli alimenti,  visto che i sistemi di refrigerazione lasciavano un po’ a desiderare.  Le uniche posate presenti sulla tavola sono i coltelli. Venivano usati anche i cucchiai, mentre le forchette, pur conosciute, comparivano raramente. I commensali prendevano le vivande con le mani dai piatti comuni, pulendosele con i tovaglioli e la tovaglia.

Poi, a intervalli fra una portata e l’altra, passavano i servi dando acqua alle mani, con brocche e bacili o con ciotole lava-dita.  Sulla tavola vi sono anche una brocca e due bicchieri di vetro colmi di vino, che aveva a quell’epoca una enorme importanza nell’alimentazione.  Tutti ne bevevano in grandi quantità, ricchi e poveri, ed era veramente indispensabile sulla tavola. Come si vede, sono diversi i materiali di cui è fatto il vasellame.  Non manca però la maiolica. Sulla destra c’è infatti uno splendido boccale del tipo cui abbiamo accennato sopra, ornato con un tralcio di foglie verdi profilate di bruno. 

Un boccale analogo, ma con dipinto sopra un uccello, compare anche sulla tavola allestita per l’Ultima Cena nell’affresco, anch’esso nel refettorio di Pomposa, opera di un pittore bolognese del primo quarto del secolo. Seduti attorno alla tavola, i commensali non dispongono di piatti personali, ma attingono tutti a una grande ciotola con un maialetto arrostito, posta al centro.

FILLIDE E ARISTOTILE:  UN ESEMPIO MORALE
FILLIDE E ARISTOTILE: UN ESEMPIO MORALE

Alla maiolica verde-bruna appartiene un boccale eccezionale, che forse risale agli inizi del ‘400, e che è stato ritrovato a Faenza nel 1972 durante l’ampliamento del locale Istituto d’Arte (fig.13). Non si è purtroppo conservato intatto, ma è stato restaurato prima di essere esposto nel Museo delle Ceramiche. Si tratta di un boccale piuttosto speciale, un po’ per le dimensioni (è infatti molto più grande rispetto alla media), ma soprattutto per la decorazione, che non ripete i soliti motivi ma rappresenta una scena del tutto insolita.  In mezzo a foglie e ramoscelli stilizzati vi è infatti una dama vestita elegantemente, coi capelli raccolti in una reticella ed una specie di coroncina sul capo, seduta all’amazzone su di un uomo che sta per terra a quattro zampe.  La dama stringe nella mano sinistra le briglie che ha messo all’uomo e lo sta usando con molta disinvoltura come  fosse un cavallo. Guardando con attenzione, si nota che la donna nella mano destra ha un guanto su cui sta appollaiato un falcone dal becco ricurvo.  E’ insomma una nobile cacciatrice dall’aria molto fiera.  La scena si riferisce a una storia medievale che narrava del rapporto fra Fillide, un bellissima etèra di Atene, e il filosofo Aristotele che sembra le fosse molto devoto.  In altre parole potremmo dire che questa immagine rappresenta in maniera molto vivace un Aristotele letteralmente “addomesticato” dalla sua amante.

Non sappiamo a chi appartenesse il boccale, ma possiamo senz’altro supporre che si trattasse di una persona colta, che conosceva la storia e doveva apprezzarla particolarmente, se aveva deciso di farsela rappresentare su un oggetto di uso frequente. Difficile definire i motivi per cui voleva avere sempre sotto gli occhi questo illustre esempio di totale sottomissione maschile. Sarebbe suggestivo pensare che il boccale appartenesse a una nobile dama (o a un poeta) seguace della teoria dell’amor cortese diffusa nel Medioevo, secondo la quale l’amante era un vero e proprio “servo” dell’amata, di cui doveva esaudire ogni minimo desiderio, non importa quanto capriccioso, assurdo o umiliante fosse.  Potrebbe però anche trattarsi del contrario, di un avvertimento cioè rivolto agli uomini, del genere “attenti a non essere troppo devoti alle vostre belle! Potreste ritrovarvi ridotti in schiavitù o trattati come animali domestici”.

 

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