Una targa con lo pasimo di Sicilia siglata FR

Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in "Faenza", bollettino del Museo internazionale delle ceramiche in Faenza,  XCIII, 2007, IV-VI, p. 290

 


Fig.1
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Fig.1A
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Fig.2
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Fig.3
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Fig.4A
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Fig.5
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Fig.5A
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Fig.6
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In questa splendida mostra che la Wallace Collection ha dedicato a Francesco Xanto Avelli, spicca fra le opere esposte una grande targa con lo Spasimo di Sicilia (Fig.1, 1A), cioè l’andata al Calvario e il tormento della Vergine secondo l’iconografia che Raffaello elaborò per un dipinto destinato a una chiesa siciliana (NOTA 1). Dai disegni del maestro,  Agostino Veneziano ricavò poi  l’incisione che servì da modello al maiolicaro (NOTA 2).  La targa è di grande effetto, molto aderente alla stampa. Il pittore ha riprodotto con cura tutte le figure, cercando talvolta la somiglianza fisionomica, come nel cavaliere che regge lo stendardo, in alto sulla sinistra. Qui egli riproduce addirittura le lumeggiature. Altrove imita le pettinature, e questo è evidente nel giovane in piedi dietro la croce, col ciuffo sulla fronte da cui nascono le ciocche. Gli stessi panneggi sono imitati dalla fonte grafica; si vede però abbastanza chiaramente che i modi dell’incisore non sono ben compresi, e la stilizzazione abituale del pittore di maioliche prende il sopravvento, con risultati nel complesso diversi. Anche l’albero sullo sfondo e le rocce vengono alla fine trattati in modo diverso dalla stampa, più consono alle abitudini del maiolicaro. La targa rappresenta comunque un notevole esempio di come una stampa possa condizionare la sua trascrizione su maiolica. Ai piedi della scena sacra, Agostino ha posto una pietra con la data 1517 e le proprie iniziali. L’autore della targa ha anch’egli, oltre a cumuli di roccia,  introdotto una pietra squadrata con la sigla FR. Questa sigla non è di per sé significativa, rappresentando probabilmente le prime due lettere del comunissimo nome Francesco; lo è però diventata perché coincide con quella usata dall’Avelli nella sua fase giovanile. Per questo la targa è stata inserita nel suo repertorio, e per questo è presente in  mostra. 

Senza quella sigla, siamo convinte che sarebbe stata attribuita genericamente a Faenza, poiché le sue caratteristiche sono tipiche della zona romagnola, e hanno poco a che fare con quelle di FR-Xanto. Questo del resto era già stato rilevato dagli studiosi precedenti,  come sottolineato dal Mallet nella sua scheda (NOTA 3). Se mettiamo a confronto la targa con un’opera sicura di FR-Xanto, il piatto con Didone ed Enea del VAM(Fig.2), non ci sfuggono le differenze. Nella resa dei capelli c’è un minore uso del bruno di manganese, e i ciuffi risultano disposti diversamente, più ordinati. I volti sono diversi, come pure il modo di rendere gli occhi, che nella targa sono leggermente sporgenti e ombreggiati in basso, mentre nelle opere dell’Avelli hanno altre caratteristiche. Osservando il piatto notiamo che il paesaggio, già in questa fase precoce, è tipico della tradizione durantina-urbinate, con le sue sequenze di cespugli arrotondati; esse mancano invece nella targa, in cui si vede bene la resa puntinata, morbida, tipica della tradizione faentina e romagnola. Questo è particolarmente importante, perché è uno degli aspetti che non derivano dalla stampa, ma sono una scelta esclusiva del pittore maiolicaro. A proposito di questo piatto, il Mallet sottolinea l’ identità del tono berettino con quello della targa (NOTA 4).  Non attribuiremmo però troppa importanza alla tonalità del fondo berettino, si tratta di un punto troppo aleatorio. Dubitiamo che tutte le opere berettine uscite da una stessa bottega abbiano necessariamente lo stesso identico tono di azzurro, e persino che lo abbiano quelle frutto di  una stessa cottura: cotture diverse, o una diversa collocazione nel forno, producono toni diversi del berettino.   

Talune affinità nelle anatomie sono state rilevate fra i personaggi della targa e quelli della Caccia al Leone del British Museum, siglata FLR e generalmente attribuita  a FR – Avelli (fig.3)  . Esse non  indicano però che si tratta dello stesso autore, ma che entrambi gli autori risentono di un certo michelangiolismo delle forme, che caratterizza anche la produzione romagnola, e che è spesso mediato dalle stampe del Raffaello più tardo e di Giulio Romano (NOTA 5). Per gli altri aspetti il piatto FLR risulta invece diverso dalla targa, ad esempio per la maggior morbidezza dei panneggi, per il modo di ombreggiare, e per l’uso intensivo del bruno di manganese nei capelli.

Molto più interessante è il collegamento, che risale addirittura al Robinson, fra la targa e un piatto di Waddesdon Manor  (fig.4 e 4A), non certo nuovo e motivato in dettaglio dal Mallet nella scheda già citata. Su questo piatto è illustrata probabilmente una scena dell’infanzia di Enea (Afrodite e Anchise col figlio fra le ninfe del monte Ida), anche se con una particolare iconografia che ricorda un po’ un Riposo dalla fuga in Egitto, e che è tratta da una delle vele sistine di Michelangelo (NOTA 6).  Accostando le due immagini non si avverte sulle prime nessuna sensibile affinità; perlomeno, questa è stata la nostra prima impressione. Confrontando la targa con il piatto, non sembrerebbe possibile attribuirli allo stesso autore, perché nel  piatto il segno è molto più semplificato, mentre nella targa le figure sono volumetricamente chiaroscurate. Ci sono però alcune considerazioni da fare.  Innanzitutto nella  targa, come già detto, interferisce l’aderenza alla stampa. In secondo luogo, se osserviamo le parti  accessorie della decorazione (i panneggi, gli alberi, le rocce), ecco emergere quelle identità che hanno spinto alcuni studiosi a collegare il piatto alla targa; colpisce in particolare la stilizzazione del panneggio, ma anche il modo con cui sono fatti gli alberi, con fronde lobate che richiamano sicuramente la tecnica incisoria, ma che non derivano da quella specifica incisione. Anche la stilizzazione dei volti è estremamente somigliante. Infine, nel piatto compare, entro una pietra squadrata, la lettera F, con immediato richiamo alla FR tracciata in maniera simile nella targa. A nostro avviso si tratta in entrambi i casi dell’iniziale dell’autore, oppure (ma con meno probabilità) del luogo di produzione.    

L’accostamento fra la targa e il piatto non è dunque una novità. Relativamente nuova è invece l’attribuzione forlivese del piatto (NOTA 7), che porterebbe con sé anche quella della targa. Il piatto infatti  rientra  in un gruppo che abbiamo definito “del Pittore del Trionfo della Luna di Marcigny” o, più sinteticamente, “gruppo Petrus” (nota 8).  E’ questo il nome dell’autore del pavimento Lombardini di Forlì, al quale siamo convinte vadano attribuite tutte le opere del csd. gruppo Marcigny. A conferma, il retro del piatto di Waddesdon Manor è assolutamente somigliante ad alcune mattonelle decorative del pavimento Lombardini (fig.5).   

Quanto allo stile di questo piatto, esso presenta sicuramente analogie con le figure che ornano il  pavimento Lombardini, ma la somiglianza maggiore la troviamo non con le mattonelle più famose, attribuibili a Petrus, ma con un secondo gruppo, forse leggermente più tardo, diverso anche nella decorazione del bordo, di cui questa mattonella con l’immagine dell’eroe Camillo è un esempio (fig. 5A)Se paragoniamo fra loro il profilo, l’ombreggiatura dell’occhio, il modo di annodare  il panneggio, le analogie ci sembrano veramente precise. Siamo di fronte a un secondo pittore del Lombardini, che a nostro avviso è autore del piatto di Waddesdon Manor e della targa.

Egli dipinse probabilmente anche il bellissimo frammento con Galatea nella collezione Strozzi-Sacrati (fig.6).  Già nell’introduzione al catalogo nel 1998 (NOTA 9) sottolineammo l’affinità fra questi due esemplari, opera di un pittore che, pur derivando spesso le sue iconografie da Raffaello, si distingue per una tensione michelangiolesca e per il segno vigoroso.

Concludendo, negli anni fra  il 1520-’35 a Forlì dovettero operare pittori su maiolica veramente importanti, equamente divisi fra l’influsso faentino e quello marchigiano, veicolato forse dalla presenza del Genga nella cappella Lombardini e nella vicina Cesena, e da quella di Francesco Menzocchi, suo allievo, a Pesaro per la decorazione dell’Imperiale (NOTA 10). Nel pavimento Lombardini, monumento della maiolica forlivese, i pittori furono almeno due. Al secondo di questi, che si sigla F o FR, va attribuita a nostro avviso la targa con lo Spasimo di Sicilia.

Chi era questo pittore, presumibilmente di nome Francesco? Qui entriamo nel campo minato della trasposizione dai documenti alle opere, che rimane sempre ipotetica.  Troviamo però, attivi a Forlì in questo periodo, due maiolicari importanti con questo nome (NOTA 11): Francesco di Lodovico di Luciano dei Laganini da Faenza, detto il Fantino, menzionato nei documenti come residente a Forlì dal 1509 al 1526, e Francesco di Masino da Rivalta, che compare negli atti fra il 1535 e il 1547.  Sono questi i più probabili candidati, a nostro avviso, all’autografia della targa.

 

NOTE

1 - Il dipinto è databile probabilmente agli anni 1515-‘16, e fu eseguito per la chiesa di Santa Maria dello Spasimo di Palermo

2 - L’incisione è datata 1517 (secondo molti, questo è anche l’anno a cui risale il dipinto) ed è siglata con le iniziali dell’autore “A V”

3 - J.V.G.Mallet, Xanto, The Wallace Collection, 2007, n. 15 p. 76

4 -  ibidem

5 - Questo è particolarmente evidente nell’opera del cosiddetto “Pittore della coppa Bergantini”, ad esempio nella coppa del Museo Civico Medievale di Arezzo con “La scuola di Atene”, tratta liberamente da Raffaello ma michelangiolesca nella resa dei personaggi e delle muscolature.

6 - J.V.G. Mallet, Michelangelo on maiolica: An istoriato dish at Waddesdon, “Apollo”, CXIIX, Aprile 1994, pp. 50-55

7 - C. Fiocco- G. Gherardi, Ceramica forlivese della prima metà del ‘500:  “Petrus”, in Keramos 186, ottobre 2004, p.23.

8 - Ibidem, pp. 9-34; cfr. anche C.Fiocco-G. Gherardi, Tesori nascosti:  la collezione di maiolica italiana del Musée de la tour du moulin à Marcigny, Faenza, bollettino del Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, LXXXVIII, 2002, 1-6, p. 73-109

9 - C.Fiocco-G. Gherardi,Le maioliche rinascimentali della Collezione Strozzi Sacrati, in Capolavori di maiolica della collezione Strozzi Sacrati, a cura di Gian Carlo Bojani e Francesco Vossilla, Firenze 1998, p.27.

10 - A. Colombi Ferretti, La pittura in Romagna nel Cinquecento, in La Pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, tomo I, Milano 1988, pp. 278-287; Francesco Menzocchi Forlì 1502-1574, a cura di A. Colombi Ferretti e L. Prati, Forlì 2004

11 - I documenti relativi ai ceramisti forlivesi si trovano trascritti da Carlo Grigioni in una serie di quaderni presso la Biblioteca di Forlì.

 


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