Su un piatto con scena biblica nelle collezionia Palazzo Venezia in Roma e sul " gruppo verde" ad esso correlato.

Carola Fiocco - Gherardi Gabriella. In Faenza, bollettino del Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, LXXXVI, 2000, IV-VI, p. 23-29

 


La recente mostra in onore di Gaetano Ballardini al Museo Internazionale delle Ceramiche (giugno 2000) con la pubblicazione in catalogo delle bozze di schede da lui redatte per le rnaioliche del Museo artistico industriale di Roma, aggiornate però da alcuni esperti del settore, si è rivelata quanto mai stimolante (1). Se infatti riconferma' da un lato la straordinaria capacità e lungimiranza dello studioso faentino, evidente in rapporto agli studi e ai dati allora disponibili, dall'altro testimonia i progressi e i cambiamenti intervenuti nella materia, e la costante necessità di rivedere le attribuzioni tradizionali, per confermarle alla luce di rnetodologie più sicure e di nuovi apporti oppure, eventualmente, per cambiarle. Questa necessità, ben nota a quanti si occupano di storia della ceramica, di recente ha portato a riscoprire l'importanza di centri fin qui trascurati e a ridimensionare l'egemonia di altri. Vi sono state talvolta resistenze o entusiasmi eccessivi, ma si tratta comunque di una strada che bisogna percorrere, con gli occhi bene aperti e senza condizionamenti.

Così, quando abbiamo poturo esaminare da vicino il piatto attualmente a Palazzo Venezia con la scena di Mosè che, disceso dal Sinai, chiama gli anziani ed espone loro quanto il Signore ha comandato (Tav. I a), l'attribuzione faentina che lo accompagnava ci ha lasciato a dir poco perplesse, vista l'inconfondibile fisionomia urbinate della figurazione. Questo piatto va considerato assieme ad altri due esemplari, con i quali forma un gruppo omogeneo: un piatto nelle collezioni del MICF (Tav. III a), e un vassoio ovale in collezione privata (Tav. I b). Tutti e tre hanno infatti gli stessi colori, sono illustrati con scene bibliche provenienti dalla stessa fonte grafica e appaiono dipinti dalla stessa mano. La fonte grafica comune è rappresentata dalle incisioni di Bernard Salomon per le Figure del vecchio testamento illustrate da versi vulgari italiani da Damiano Mararaffi, Lyon, ]ean de Tournes, 1554: la scena sul piatto di Palazzo Venezia è tratta da Esodo XIX, 7-8 ; quella del piatto MICF, che rappresenta Noè in atto di ringraziare Dio dopo il diluvio, da Genesi IX, mentre quella sul piatto ovale in collezione privata, venduto da Sotheby, Firenze, ottobre 1971 e la cui attuale collocazione ci è sconosciuta, mostra la scena di Abramo e i. tre angeli (Genesi XVIII).

Il tratto distintivo del gruppo è quello di essere dipinto in blu su un fondo di maiolica verde-turchese, e lumeggiato in bianco. Ne risulta una intonazione cromatica insolita, che richiama quella del berettino e che nasconde un po' i caratteri stilistici della pittura. Probabilmente per questo a partire dal Ballardini l'attribuzione è

 

Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Gaetano Ballardini e la ceramica a Roma. Le maioliehe del Museo Artistico Industriale, Catalogo della mostra, Faenza 20 maggio-30 settembre 2000, a cura di G.c. Bojani, Centro Di, Firenze 2000. 

 

 

sempre stata a Faenza, e ricercata nell'ambito dell'istoriato faentin (2). Per la precisione, si è fatto il nome di Giovan Battista dalle Palle, membro di una famosa famiglia di maiolicari faentini, attivo negli anni sessanta a Verona. Di lui si conoscono cinque opere firmate, da cui è possibile costruire un corpus omogeneo e srilisticamente ben connotato (Tav. I c.d), che ben poco ha a che fare con il gruppo in questione. Quest'ultimo, infatti, non va collegato con la pittura faentina della seconda metà del Cinquecento. I suoi tratti stilistici, del tutto noti, caratterizzano la produzione tarda dei Patanazzi di Urbino, quando Alfonso era il capo della bottega.

Alfonso, adottato da Francesco Patanazzi e divenuto perciò a tutti gli effetti membro della famiglia, ereditò da questi l'impresa nel 1616 (3). Risulta morto entro il 1627, e a quanto pare nessuno dei suoi sei gli ne continuò l'attività. Un piatto da lui firmato e datato 1606 del Victoria and Albert Museum di Londra con Romolo che riceve le donne sabine (4), e uno del Museo civico di Pesaro (Tav. II a), su cui è raffigurata la scena di Priamo che si consulta con i suoi sull'opportunità di far entrare in città il cavallo, secondo il consiglio del prigionieto Sinone, firmato ma privo di data (5) ci permettono di conoscere la sua maniera, dalle figure sintetiche e pesanti, un po' goffe, con i panneggi rigidi e le architetture classiche alquanto semplificate (6). A lui e alla sua bottega va anche attribuita una serie di vasi farmaceutici della Santa Casa di Loreto, per i quali esiste un atto di pagamento a officina urbinate del 1531 (7). Condividono infatti i caratteri stilistici delle opere firmate, e furono probabilmente eseguiti alcuni anni prima del pagamento, quando Alfonso era ancora in vita. I due grandi albarelli attualmente nel corredo, con i manici a sfinge e il coperchio sormontato da un drago (Tav. II c), su cui sono dipinte scene bibliche, sono forse databili a prima del 1621, poiché vi compare, assieme a quello Cenci, lo stemma di un prelato della famiglia di papa Paolo V Borghese (1605-1621), che fece eseguire importanti lavori nel santuario. Va inoltre ricordato che i Patanazzi intrattenevano legami con il santuario lauretano fin dall'epoca di Francesco, che nel 1585 aveva ricevuto due commissioni per forniture di vasi e nel 1588 aveva sposato la figlia di Lattanzio Ventura, lapicida e architetto della Santa Casa (8)


2 C. RAVANELLI GUIDOTII, Figure della Bibbia e del Metamorphoseon di Ovidio, in «Faenza», LXVIII (1982), III-IV> pp. 171, 169; ID., Maioliche 'istoriate' ispirate a modelli silografici , in L'Istoriato.
L
ibri a stampa e maioliche italiane del cinquecento, Faenza 1993, pp. 31, 118; ID.> Faenza - Faience. "Bianchi" di Faenza, Ferrara 1996, p. 220.

3 Per quesca e per ogni altra notizia sui Paranazzi di Urbino facciamo riferimento al recente saggio di E NEGRONI, Una famiglia di ceramisti Urbinati: i Patanazzi, in «Faenza», LXXXIV (1998), 1m, pp. 105-ll5.

4 Invv. 2612-1856, in B. RACKHAtV!, Victoria and Albert Museum, Catalogue of Italian maiolica, London 1940, n. 896. Alla base della scena> nella parte anteriore, è la scritta abbreviata ALEP.E /
VRBINI 1606, mentre sul retro la stessa si ripete per esteso: ALFONSO PATANAZZI FECIT VRBINI1606.

5 M. MANCINI DELLA CHIARA, Maioliche del Museo Civico di Pesaro, Bologna 1979, n. 18. La serina esplicativa termina con VRBINI / ALFONSO PATANAZZI / FE". Nello museo di Pesaro è un altro piatto dello stesso servizio, anch'esso di Alfonso, ibidem, n. 2 (Tav. II b) e uno a grottesche (n. 23).

6 Riferendoci ad Alfonso non intendiamo naturalmeme alludere al suo stile personale, bensì a quello della bottega da lui diretta, con il probabile apporto di collaboratori. C'è da notare pe che si tratta di una maniera piuttosto unitaria, anche se con diversi livelli di qualità e accuratezza, legati probabilmeme al tipo di oggetto e alla destinazione.

7 Ceramiche urbinati. Note storiche e inventario, 1976, p. 14.
8 F. NEGRONI> op. at., p. 167.

 

 

Assieme agli esemplari firmati, dunque, anche i vasi farmaceutici di Loreto costituiscono una base legittima per la definizione dello stile di Alfonso, che rispetto alla produzione precedente della bottega ci appare semplificato talvolta fino all'ingenuità. Poco incide la raffinatezza grafica delle fonti, fra cui le illustrazioni delle bibbie lionesi, incise dal Petit Bernard, sono le favorite. Ad essi aggiungeremmo senza esitazione i vasi conservati nel museo Herzog Anton Ulrich di Braunschweig (9), già attribuiti ai Patanazzi e derivati iconograficamente dalla citata bibbia lionese del '54 e dalle Figure de la biblia illustrate da stanze toscane da Gabriele Symeoni, Lyon, Guillaume de Roville, 1564.

Stabiliti dunque i documenti in base ai quali è possibile definire la maniera di Alfonso Patanazzi, torniamo ora al "gruppo verde" per istituire confronti diretti con i tre esemplari che lo compongono. C'è da dire che le possibilità sono innumerevoli.
Proprio per questo ci limiteremo a confrontare due scene uguali, tratte dalla stessa stampa, quella sul piatto verde del museo di Faenza e la corrispondente sul vaso della Santa casa (Tav. III a,b): basta osservare le identità quanto mai significative nel modo di delineare il panneggio di Noè, i profili e le fisionomie in genere, le nuvole a cavolfiore, le aureole tratteggiate, per avere la certezza di trovarci di fronte alla stessa mano.

L'attribuzione faentina, che stilisticamente ha basi assai labili, è sempre apparsa rafforzata dal richiamo ai fondi berettini, tipici della maiolica locale nella prima metà del Cinquecento. Se però essi si vanno perdendo a Faenza man mano che ci si avvicina alla metà del secolo, al contrario sono ben presenti nella produzione urbinate di epoca successiva, associati ad esempio alla decorazione a paesi (10). Inoltre l'inventario redatto di sua mano da Antonio dei Patanazzi, annesso a un contratto del 1585 e di recente pubblicato dal Negroni (11) menziona oggetti berettini, mostrando che in questa specifica bottega essi venivano comunemente prodotti. Se la documentazione su Antonio riguarda la seconda metà del Cinquecento, è però certo che anche Alfonso usava fondi colorati. Vi sono, nella collezione Bagatti Valsecchi di Milano, due splendidi, grandi albarelli dipinti sul fondo azzurro, in blu intenso con lumeggiature bianche (12) (Tav. IV a-b, c-d). I modi sono quelli di Alfonso, la forma replica con precisione quella degli albarelli stemmati di Loreto, pur recando un' aquila alla sommità del coperchio al posto di un drago. L'identità di forma e di modi non consente di dubitare dell'attribuzione, e lega anche ad Alfonso una produzione berettina.

E' vero che si tratta di fondi azzurrati, diversi da quelli verde turchese del gruppo in esame, mentre la bibliografia cita la presenza, nel Museo internazionale delle ceramiche, di frammenti di scavo dal fondo verde, che devono quindi essere presi in considerazione (Tav. III c). Di conseguenza abbiamo esaminato tali frammenti con la massima cura, trovandone numerosi altri oltre quelli citati, e tuttavia abbiamo dovuto concludere che non sono significativi: il tono di verde è completamente

 

9 Invv. 1068-1079, 1156-1157, in]. LESSMANN, ItalienischeMajolika, Braunschweig 1979, nn. 276-289.

10 Il motivo si trova nei reperti provenienti dalle volte di un salone nel palazzo di Urbino, vM. GIANNATIEMPO LOPEZ, Urbino Palazzo Ducale. Testimonianze inedite della vita di corte, catalogo della mostra, Urbino dic.1997- mar. 1998, Urbino 1997, n. 41, p. 63.

11 F. NEGRONI, op. cit, appendice l, pp. 112-113, nn. 30,40,41: un bacile bertino ... Piati de bertino da mezo grosso sedici ... e un bastardo e un da quatro carlini bertino12 Invv. 480 e 481

 

diverso, alcuni risultano di epoca posteriore, addirittura settecenteschi, e per lo più non recano tracce di storie. Quando vi sono, appaiono compendiarie alla maniera faenrina, con colori che non corrispondono alla severa tonalità blu-bianco-turchese dei tre esemplari qui considerati. A meno di nuovi ritrovamenti, dunque, non
sono certo tali da superare l'obiezione di completa estraneità stilistica del gruppo verde al contesto faentino. Mentre, infatti, il segno grafico di Giovanni Battista Dalle Palle rivela, com naturale, una sensibilità vicina a quella della decorazione compendiaria, la semplificazione dei dati anatomici nelle figure dei piatti verdi
rispecchia puntualmente la rigidità quasi geometrica dei modi di Alfonso Patanazzi.

 


On a plate with a Biblical scene in the collection 01 Palazzo Venezia anel on the "Green Set" 01 iuicb it u/as parto


Two plates and an ovai platrer painred in blue and whire against a turquoise-green background wirh Biblical scenes on engravings by Bernard Salomon form a homogeneous group produced by the same workshop. These pieces are usually artributed to the Faenrine
maiolicaro Giovanni Battista Dalle Palle, who was acrive in Verona in che 1560s. On rhe basis of precise stylistic comparisons, however, the flatwares are shown to have been produced in the workshop of Alfonso Paranazzi during the firsr quarter of rhe 17th century,
Paranazz i's shop made regular use of the i llustrations in rhe Lyon Bibles as prinr sources, and is also known for this type of colored background.

 


Biblische Szenen atti einem Teller in der Kollektion von Palazzo Venezia und zur "griinen Grappe" (gruppo uerde).


Zwei Teller und eine ovale Schale, die rnir biblischen Szenen in blau und weiB auf griin-tiirkisfarbenern Majolikauntergrund verziert und den Stiehen Bernard Salomons entnommen sind, bilden eine einheitliehe Gruppe in der Produkrion der Werkstarr. Fi.ir gewohnlich werden sie dem Faenriner Giovanni Battista Dalle Palle zugesproehen, der in den sechziger ]ahren des 16. ]hs. in Verona tatig war. Stattdessen gehoren sie, naeh einer akuraten srilistischen Gegenuberstellung , der Werkstatt von Alfonso Patanazzi ano Irnrsten Viertel des 17. ]hs. wurden hier ublicherweise Bibeln aus Lyon als grafische Quelle und ein farbiger Unrergrund benutzt.

Un plat avec scène bybliqlle elans les collections de Palazzo Venezia et le "groupe vert" mis en corrélation avec ce plat.

Dcux plaes ct un plaecau ovai, ornò dc scèncs bybliqucs eirécs dc gravUL"CS dc Dcmard Salomon en bleu er blane sur fond de majolique verr-turquoise formenr un groupe homogène produir dans la rnèrne bourique. Ils sont néralemenr attribués à Giovanni Battista Dalle Palle de Faenza; travaillant à Verone dans les années soixante du XV1e siècle. Ces plats appartiennenr, au conrraire, à la suite de poneruelles eomparaisons stylistiques à la boutique
d'Alfonso Patanazzi darables au premier quarr du XVIIe siècle, où, c1'habitucle on se servair comme sources graphiques des bybles lyonoaises et où l'on utilisait aussi les fonds colorés.

 

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