Fonti iconografiche di un pavimento derutese.

Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in " Faenza", bollettino del Museo Internazionale dele Ceramiche in Faenza, LXX, 1984, 3-4, p.183-188

 

Nel contesto della ceramica derutese, il pavimento di S. Francesco costituisce la sintesi e il momento qualitativamente più alto dei motivi sviluppati in tutto il corso del secolo XVI, sia a lustro che in policromia.

Fu rinvenuto casualmente nel 1902, mentre si riparava l'impiantito della chiesa di S. Francesco a Deruta; secondo il Magnini, che se ne occupò fra i primi, il pavimento subì un primo spostamento seguendo la Compagnia del Rosario e Morte dalla chiesa di S. Angelo a quella di S. Francesco: successivamente la cappella della Compagnia andò in rovinae fu riattata nel 1652.

In tale occasione fu rimosso il pavimento ormai logoro, che venne riutilizzato come materiale di riempimento per rialzare il piano della chiesa (1).

Delle mattonelle rimaste, poche sono leggibili chiaramente; la maggior parte presenta fratture e scrostature vastissime allo smalto.

Vi prevalgono due forme, che si adattano l'una all'altra: a croce e a stella con otto punte, le prime contenenti per lo più le parti decorative, le seconde quelle figurate.

Questo formato, insolito nella produzione italiana, è invece frequente in quella islamica, sia orientale che spagnola, e la sua ripresa derutese sottolinea ancora una volta un particolare rapporto con la ceramica ispano-moresca, riscontrabile anche nella  produzione a lustro, che utilizza quasi esclusivamente l'accostamento dell'oro col blu, e nella diffusione di motivi «ad arabesco».

I temi trattati che è possibile individuare sono di estremo interesse, pagani e cristiani: vi sono infatti profeti, geni alati, muse, divinità olimpiche, santi, figure: allegoriche, teste di imperatori, un cacciatore, un falconiere, svariati profili femminili e maschili con sullo sfondo il tipico paesaggio a collinette coniche con torri sulla cima.

Il pavimento è racchiuso da fasce decorative formate da mattonelle rettangolari e poligonali allungate, su cui correva un'iscrizione.

Dai frammenti rimasti può ricavarsi la parola «lNGREDERIS»; sono visibili un calice pieno di foglie, una mano che regge un festone, un volto angelico, un teschio e un cartello con la data «1524» (2) (Tavv. LVIII; LIX a, b; LX a, b).

Più di un decoratore ha lavorato alla realizzazione dell'opera; vi sono infatti riconoscibili mani diverse.

La maggioranza delle mattonelle riflette però uno stile abbastanza unitario, e di qualità molto alta.

Si tratta di quello che chiameremo, come già il De Mauri e 1.P. Yon Brdberg, il «Maestro I del Pavimento di S. Francesco» (3).

* Ringraziamo vivamente la Casa Editrice Abaris Book per aver gentilmente concesso la riproduzione delle incisioni che illustrano l'articolo, tratte dall'opera The illustrated Bartsch.


(1) M. MAGNINI, Esposizione di Perugia. Un pavimento derutese, in "L'Arte», X (1907), p. 229.
(2) Ibid., p. 230.

(3) DE MAURI, Le Maiouche di Deruta, Milano 1924, tav. VII; J. PRENTICE VON ERDBERG, Mcfolica by known artists in the collections oJ the Musèe de Cluny, in «Burlington Magazine», val. XCII,1950, p. 284.

 

 

La sua mano è individuabile in numerose altre opere, che indicano un'attività cospicua in un arco di tempo che va circa dal 1520 al 1530. Ce ne occuperemo in altra occasione. Qui intendiamo invece cogliere alcune derivazioni iconografiche che, anche se non contribuiscono ad una datazione, visto che il pavimento è già di per sé datato, sono importanti per chiarire la cultura e le fonti di una bottega ceramica derutese del Rinascimento.

Benché molte mattonelle fossero state montate in un pannello ed esposte così nel Museo Municipale di Deruta, non è possibile arguire la loro posizione originale in rapporto l'una con l'altra, e va quindi perduto uno dei dati più importanti alla comprensione iconografica.

Il tema generale richiama quello di famosi cieli quattro e cinquecenteschi: l'accostamento di Arti, Muse, Sibille, Profeti, Pianeti, esprimente l'unità dell'attività spirituale e l'organizzazione cosmica, è stato utilizzato, ad esempio, nella Biblioteca del Duca 'di Urbino, nella Badia fiesolana e nel Collegio del Cambio di Perugia (4).

Questa concezione è espressa in una famosa serie di incisioni impropriamente detta «tarocchi del Mantegna», che hanno avuto una prima versione in ambiente ferrarese attorno al 1460, e una seconda; da essa derivata, in ambiente fiorentino, posteriore di circa venti anni (5).

Di quest'ultima sembra essersi servito l'ignoto autore del pavimento per raffigurare Arti e Virtù.

Ancora possibile è il raffronto fra alcune piastrelle e i corrispondenti «tarocchi»: ad esempio per la raffigurazione di Tersicore (Tav. L VIII, 4a fila dall'alto, sa mattonella; Tav. LXI a), Prudenza (Tav. LVIII, 3a f., 4a m.; Tav. LXI b), Temperanza (Tav. LIX a, 3a f., 4a m.; Tav. LXI c), Urania (Tav. LX b, 3a f., 4" m.; Tav. LXI d), Teologia (Tav. LX b, 4a f., l a m.; Tav. LXI e).

Altre probabili corrispondenze sono ormai rese illeggibili dalle pessime condizioni del pavimento.

Da altra fonte, anch'essa contemporanea alla precedente e fiorentina, provengono poi le Sibille; ben riconoscibile è ancora la Sibilla Eritrea, dalla serie di incisioni di incerto autore, corredata da versi di una sacra rappresentazione di Feo Belcari. Poiché quest'ultima fu stampata a Firenze per la prima volta verso la fine del 1400, tale data è considerata approssimativamente valida anche per le stampe (6) (Tav. LIX b, 4" f., 3" m.; Tav. LXI f).

Probabilmente, secondo l'usanza, alle Sibille era accostata la serie dei Profeti: su una mattonella compare infatti una figura di vecchio barbuto (Tav. LIX a, 4a f., 4a m.) ormai purtroppo parzialmente illeggibile, che potrebbe identificarsi con uno di essi.

Comunissimo, nella ceramica rinascimentale, è l'uso di stampe da parte dei maiolicari e, come si vede, l'autore del pavimento non fa eccezione.

Accanto alle quattrocentesche Sibille e Muse, egli si serve anche di uno dei più noti e diffusi incisori contemporanei, Marcantonio Raimondi, rivelando come le sue


(4) A. CHASTEL, Arte e Umanesimo a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, Einaudi, Torino, 1964, p. 261.

(5) A Loan Exibition of Early Italian Engravings Fogg Art Museum, Harvard University Press, Cambridge 1915, pp. 103-105.

(6) Ibid., pp. 63-65

 

scelte siano dettate più da motivi pratici che stilistici.

Dall' Apollo eli Marcantonio, a sua volta ripreso da Raffaello, proviene l'Ermes del pavimento: alla cetra è stato sostituito il caduceo, mentre per tutto il resto la ripresa è estremamente puntuale (Tav. LXII a, b).

Dal «Giudizio di Paride» il maiolicaro ha isolato la figura del protagonista, con in testa il caratteristico berretto frigio (Tav.LXII c, d), mentre dai «Due fauni che portano un bimbo nella cesta», riproduzione di un antico bassorilievo da Villa Albani, è stata utilizzata la figura del personaggio più giovane (Tav. LXIII a, b).

A nostro avviso, si potrebbe ipotizzare l'uso del putto nella cesta per l'angelo intento a leggere il libro (Tav. LX a, 3a f., 3a m.), con l'aggiunta del libro e delle ali.

Le due incisioni con «l'uomo seduto su un ceppo» e S. Stefano hanno originato altrettante mattonelle (Tav. LXIV a; Tav. LX b, 4a f., sa m.; Tav. LXIII c, d); il santo, anziché una pietra, regge sul mantello un teschio, per meglio adeguarsi al tema della cappella.

Anche il S. Antonio del Raimondi era riprodotto in una mattonella oggi scomparsa, ma visibile nelle vecchie riproduzioni, come ad esempio in quella sul «Corpus» del Ballardini (Tav. LXIV b).

L'incisione col «Tritone recante sul dorso una Nereide» da alcuni attribuita a Marcantonio, da altri esclusa dal suo repertorio (7), è stata suddivisa in due mattonelle (Tav. LXIV c, d; Tav. LIX b, 2a f., 1 a m.).

Anche qui la Nereide è adattata ponendole sotto la mano, come appoggio, un teschio.

Il Tritone è accostato invece a un fanciullo che sembra reggergli la coda.

La bella figura femminile girata di profilo, col libro in mano, è presa dalle «Due figure femminili con lo zodiaco» identificate da E. Wind come Clio ed Erato (8) (Tav. LXV a; Tav. LVIII, P f., 8a m.); l'incisione, per intero, è stata utilizzata in un piatto a lustro attribuibile allo stesso «Maestro I del Pavimento», e che si trova attualmente all'Hermitage di Leningrado (9).

Anche una santa in piedi di profilo sembra potersi identificare, sia pure con un margine di incertezza dovuto al cattivo stato, con la Maddalena, sulla destra della «S. Cecilia» del Raimondi, versione modificata rispetto al famoso quadro di Raffaello (TavLXV b; Tav. LX b, z- f., sa m.).

Forti analogie presenta anche il profilo di imperatore con quelli di Marcantonioin particolare con il «Giulio Cesare» (Tav. LXV c; Tav. LX a, l a f., sa rn.).

Neanche il Maestro del Pavimento sfugge all'influenza delle decorazioni del «Cambio» di Perugia, ricorrente nella ceramica derutese: da esso derivano infatti le figure del Cristo benedicente in gloria e di Apollo, eretto sul carro del sole (lO) (Tav LXV d; Tav. LIX b, 2a f., 3a m.).

 

(7) H. DELABORDE, Marc-Antoine Raimondi. Etude Historique et Critique Suivée d'un Catalogue Raisonné des Oeuvres du Maitre, Paris, s.d., p. 299. Il Bartsch l'ammette invece fra le opere giovanili dell'autore.

(8) E. WIND, Pagan Mysteries in the Renaissance, London 1968, pp. 149-150.

(9) A.N. KUBE (a cura di), State Hermitage Collection Italian Majolica XV-XVIII sec., Moscow 1976, N. 50.

(10) Il «Cristo benedicente» è raffigurato con simile iconografia anche nella Pala della Trasfigurazione, compiuta dal Perugino nel 1517 e collocata in S. Maria dei Servi a Perugia.

 

 

Interessanti sono anche le riprese delle parti decorative da famose opere contemporanee; ad esempio, l'arabesco sulla fascia del sacerdote nello «Sposalizio della Vergine» di Raffaello, ora a Brera ma un tempo a Città di Castello, si ripete ugualmente nelle
piastrelle allungate che contornano il pavimento, e in alcune di quelle a croce (Tav.LVIII ).

Tale arabesco, di ascendenza islamica, è presente sia nella ceramica ispanomoresca che nei tessuti, fino da epoche molto precedenti; assieme al nodo e alla «decorazione alla porcellana», torna di grande attualità nello scorcio del sec. XV e del primo quarto del XVI, ed è inserito nel repertorio dei motivi decorativi rinascimentali (Il).

Esso avrà molto seguito nella ceramica derutese, e ritornerà nei più tardi pavimenti del «Frate» e nella tesa di taluni piatti da pompa, come in quello col gruppo di ninfe del Metropolitan Museum di New York, presumibilmente uscito dalla stessa bottega del nostro pavimento (I 2).

Infine, la piastrella con mostro che regge un putto sul dorso, leggibile solo nella parte inferiore(Tav. LVIII 2a f., T" m.), ci permette di ricondurre ad officine derutesi un famoso piatto di collezione privata, generalmente attribuito a Siena, con una rappresentazione quasi identica (13).

Come si vede, è sfatata la tradizione popolare che attribuiva l'esecuzione dei cartoni originali al Pinturicchio; la bottega si è liberamente servita di tutto il materiale grafico a sua disposizione per l'illustrazione di una iconografia proposta, con ogni probabilità, dai committenti.

Nel caso dell'utilizzazione delle stampe di Marcantonio, la scelta è particolarmente aggiornata, ma il ceramista non rifugge da fonti precedenti.

Caratteristico ci sembra il modo con cui il maestro derutese utilizza le stampe: egli ne estrae abitualmente le figure, sovrapponendole allo sfondo paesaggistico di maniera, con montagne coniche ed edifici stilizzati, comune alla ceramica umbra.

Contrariamente ai maestri del grande istoriato metaurense, nei quali è più accentuato il rapporto con la pittura, e che usano le stampe nella loro integrità spaziale, trattando la superficie ceramica come base per un vero e proprio esercizio pittorico, nei maestri umbri sembra invece prevalere un concetto più decorativo, anche se estremamente raffinato e aggiornato.

Le figure sono isolate rispetto al contesto originale, e i gruppi smembrati.
Questo atteggiamento è coerente con quello di tutta la produzione derutese, che rifugge dall'istoriato, finché non si rende evidente l'influenza urbinate, con l'opera di Francesco Urbini e del Frate.

Tale influenza sembra comunque circoscritta a queste due personalitàfino alla vasta produzione compendi aria secentesca.

Come già accennato, è strettissimo il rapporto del Maestro del Pavimento con la produzione ceramica contemporanea derutese.

Ci limitiamo qui a segnalare il ripetersi, nel pavimento, di un profilo femminile 

 

(11) P. FRATTAROLI, Le stoffe di Cangrande, scheda n. l, p. 87 (catalogo di esposizione), Firenze 1983; J. BALTRUSAITIS, Il Medioevo fantastico, Milano 1977, pp. 100-113.                        .

(12) O. RAGGIO, «The Lehman Collection», in «The Metropolitan Museum of Art Bulletin», voIXIV, aprile 1956, p. 187; e La Collection Lehman, catalogo di esposizione, Parigi 1957, n. J.

(13) M. BELLINI - G. CONTI, Maioliche Italiane del Rinascimento, Milano 1964, p. 77; A. CAIROLA, Ceramica Italiana dalle origini ad oggi, Roma 1981, p. 65. di Apollo, eretto sul carro del sole (lO) (Tav LXV d; Tav. LIX b, 2a f., 3a m.).

 

 

ricorrente (Tav. LIX a, 3a f., 5a m.) che ha avuto una delle sue più belle espressioni al centro di un piatto da pompa del Museo Civico di Pesaro, recante lo stemma dei Montefeltro e l'iscrizione «VIVA VIVA E DUCHA D URBINO».

Tale profilo si trova assai di frequente sia in piatti da pompa che in vassoi e coppe, di svariate dimensioni, ma soprattutto nel tagliere del Victoria and Albert Museum a lustro, attribuibile allo stesso maestro (14).

È interessante notare come, rispetto al precedente del Museo di Pesaro, il Maestro del Pavimento accentui elementi stilistici nuovi, in perfetta coerenza con la maniera raffaellesca diffusa dalle stampe dopo il 1510.

Le ombreggiature infatti attribuiscono alla figura un maggior rilievo, perfino nell'esemplare a lustro del V.A.M., mentre l'acconciatura annodata richiama un tipo di classicismo di impronta raffaellesca, pur nella ripresa di un modello tradizionale.   


(14) Il Piatto del Museo di Pesaro è riprodotto a colori in Maioliche Umbre decorate a Lustro, catalogo di esposizione, Firenze, Nuova Guaraldi, 1982, fig. 7, p. 67. Per il tagliere del Victoria and Albert,
cfr .. il catalogo del Rackham al n. 435 (inv. 2181-1910).

 

 


Iconographic sources of a floor in Deruta.


The fioor of the church of San Francesco at Deruta, which constitutes the coming together and the highpoint of the motifs developed during the course 01' the 16th century, having at an earlier date undergone displacements and alterations, is at present in a rather unsatisfactory condition. This article focuses on the flooring, one of the surviving bricks of which bears the date 1524, and seeks to identify a number of iconographical sources that are of importance in gaining a clearer picture of the cultural climate in which a pottery in Deruta in the 16th century would have existed. The figures 01' the Muses and of the Sybils are taken from well-known series of 15th century engravings, whereas other characters were derived from engravings made by Marcantonio Raimondi. There are aiso motifs drawn from the decorations of the Collegio del Cambio di Perugia or copied from the ornamental parts of farnous contemporary works of art. Ali of which contradicts the popular tradition that attributed the design of the fiooring to Pinturicchio. The article closes with a series .of criticai comments suggesting, for the benefit of the authors too, the names of a few possible designers. 

 

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