Alcune considerazioni sull'Orsini-Colonna, il servizio B °, il servizio T e la "porcellana colorata"

Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in "Faenza" bollettino del Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, LXXVIII (1992), 3-4, p.157-166.

 

Qualche tempo fa ci siamo occupate del "servizio BO", così chiamato dalla sigla che contrassegna i retri di alcuni albarelli che ne fanno parte (1). Com'è noto, si tratta di un gruppo problematico, di difficile collocazione, in passato variamente attribuito, e con particolare insistenza, alla produzione faentina (2). Tuttavia, viste le affinità di forma e di stile, nonché di colori e di distribuzione decorativa che legano questo servizio al gruppo "Orsini-Colonna", in precedenza da noi attribuito a Castelli d'Abruzzo, ritenemmo possibile che esso appartenesse alla stessa area di produzione. L'attribuzione a Castelli del servizio "Orsini-Colonna" fu da noi proposta per la prima volta in un intervento presentato a un convegno sulla ceramica di Castelli, tenutosi in questa cit il 26 agosto 1984, e pubblicato l'anno successivo negli atti relativi (3). In quel periodo eravamo impegnate nello studio della ceramica derutese, poiché ci era stata affidata la schedatura del materiale umbro del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (4).

Accogliendo un suggerimento avanzato da Francesco Liverani e Giovanni Reggi,, che l'Orsini-Colonna meritasse una verifica nell'ambito della produzione derutese, con cui ha qualche innegabile affinità decorativa (5), ci dedicammo a questo compito, confrontando accuratamente gli esemplari a noi noti del corredo con la vastissima documentazione di scavo presente a Deruta, resa accessibile per la disponibilità delle autorità locali e la collaborazione veramente generosa di alcuni amici ivi residenti.

Prendemmo naturalmente in considerazione anche le maioliche di accertata attribuzione presenti nelle collezioni pubbliche, e quello straordinario culmine e sintesi delle possibilità ceramiche derutesi che è il pavimento di S.Francesco a Deruta. La conclusione fu che in nessun modo il servizio poteva appartenere a questa produzionee che i punti di contatto, pur innegabili sia nei particolari decorativi che nel gusto persistente per le forme biansate, erano probabilmente dovuti a scambi e contatti


(1) C.FlOCCO-G.GHERARDI, Sulla datazione del corredo "OrsiniColonna" e suisennno "B''' in "Faenza"     LXXII (986), 5-6, pp.290-297.        

(2) Già il Fortnum nel suo catalogo del South Kenstington Museum del 1873, cita la sigla BO come appartenente alla maiolica faentina (C.D.E.FORTNUM, A descrtptiue catalogue of tbe maiolica Hispano-morescoPersian, Damascus, and Rbodiart wares in tbe Soutb Kensington Museum, London 1873, p.500), mentre Otto von Falke attribuisce questo corredo da farmacia alla bottega di Maestro Benedetto da Siena (O.VON FALKE, Die Majolikasammlung Alfred Pringsbeim in Muncben, I, Den Haag 1914, tav.Sl , nn. 86 e 87). Successivamente Bernard Rackham nel 1915 riprese l'attribuzione faentina, accostando lo stile degli albarelli BO ad un piatto con Perseo e Andromeda sicuramente faentino oggi al Victoria and Albert (B.RACKHAM, A new cbapter in the bistory of Italiari majolica, Il, in -Burlington Magazine-, 27 maggio 1915, pp.50-SS. Per il piatto con Perseo e Andromeda, inv. C.2118-1910, v. B.RACKHAM, Victoria and Alberi Museurn, Catalogue ofItalian Maiolica, London 1940, n.258), seguito poi dal Ballardini (G.BALLARDINI, Le maiolicbe della collezione Ducrot, Milano 1934, tav.12) ed in seguito da quasi tutti gli studiosi che si sono occupati del corredo.

(3) C.FIOCCO-G.GHERARDI, Il corredo Orsini-Colonna nella produzione cinquecentesca di Castelli: proposte per una attribuzione, in -Anticbi documenti sulla ceramica di Castelli-, Atti del Convegno di Castelldel 1984, Roma 1985, pp. 67-70.

(4) C.FIOCCO-G.GHERARDI, Ceramiche umbre dal Medioevo allo Storicismo, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, 2 voll., Faenza 1988 e 1989.

(5) F.LlVERANI-G.REGGI, Le maiolicbe del Museo Nazionale di Ravenna, Modena 1976, p.71, nota 18

 

 

culturali, già documentati per artisti quali ad esempio Cola dell'Amatrice (6), ma ipotizzabili certo anche per i ceramisti.

Per quel che riguarda la committenza, essa ci pare collegata ai possedimenti degli Orsini in Abruzzo, e in particolare al Castello di Avezzano, dimora di Marcantonio Colonna marito di Felice Orsini, dal cui portale, p che dalla tanto citata medaglia, ci sembra derivi l'iconografia della fiasca con l'orso che si appoggia alla colonna, attualmente nelle collezioni del British Museum (7).

Nel portale sono raffigurati in bassorilievo due grandi orsi in piedi,molto arcaizzanti, e fra loro lo stemma con la colonna, circondato dal Toson d'Oro. L'onorificenza fu conferita a Marcantonio dopo la vittoriosa battaglia di Lepanto, avvenuta nel 1571. E' possibile che quest'ultima parte costituisca un'aggiunta posteriore; tuttavia la base bugnata del portale sembra comunque far riferimento a prototipi manieristi.

Il collegamento con il matrimonio di Marcantonio Colonna (552), che del resto è stato istituito anche per la medaglia con l'orso che abbraccia la colonna, a lungo messa in relazione col corredo (8), potrebbe costituire uno dei molti elementi che spostano in avanti la data di quest'ultimo, oltre la metà del secolo (9).

Benché la produzione di Castelli d'Abruzzo dovesse essere già nota e celebrata nel 1546, quando Antonio Beuter la citava fra quelle in grado di competere con la fama del vasaio ateniese Corebo (10), è infatti nostra radicata opinione che l'intera tipologia "Orsini-Colonna" non possa venire datata prima della metà del 1500.

Non concordano con questa tesi alcuni studiosi (11), i quali tendono a differenziare notevolmente nel tempo le varie parti del corredo. Tuttavia, anchese alcuni ornati appaiono più arcaizzanti di altri, vi è una sostanziale omogenità di forme e di gusto che ci sembra legare il gruppo a ~na sola fase della bottega Pompei, quella in cui essa fu gestita da Orazio. Non è un caso se tutti i possibili rimandi, dal famoso mattone recante il suo nome (gli ornati del primo mattonato di S.Donato sono strettamente connessi con quelli dell'Orsini-Colonna, ed entrambi i complessi vanno fatti risalire alla stessa origine) ai due vasi firmati finora noti con la scritta "Hoe opus Oratii" puntino esclusivamente a lui. E le date di Orazio, come sottolineammo a suo tempo, sono tutte posteriori alla metà del secolo.

Naturalmente questo non esclude l'intervento di numerosi decoratori, familiari o dipendenti, come dimostrano le diverse maniere riscontra bili nel corredo, e che furono probabilmente attivi nella bottega di Orazio fra il 1550 e il 1570.

Il diluire nel tempo l'Orsini-Colonna risponde però a un'esigenza ben precisa, che è quella di dare un minimo di gradualità alla sua comparsa; rispetto ai frammenti di


(6) Cola fu attivo in Umbria come architetto nel cantiere della Rocca Paolina di Perugia, come pittore in Palazzo Vitelli alla Cannoniera a Città di Castello, oltre che ad Ascoli Piceno, all'Aquila, a Campli ed in altre località marchigiane ed abruzzesi.

(7) Inv. MLA 1852, 11-29,2.

(8) Facciamo riferimento alla discussione di R.Weiss sul ':Journal of the Warburg Institute-, riportata in T.Wn.sON, Due modeste note alle "maiolicbe cinquecentesche di Castelli", in "Castelli e la maiolica cinquecen- tesca italiana-, atti del convegno in Pescara 22/25 aprile 1989, Pescara 1990, p.ll8.

(9) L'argomento è approfondito nella prima parte di C.FIOCCO - G.GHERARDI, op.cit.,1986.

(10) P.A.BEUTER, Primera parte de la cronica generai de loda Espana y especialrnente del reino de Valencia, Valenza 1546; traduzione italiana di Alfonso d'Ulloa, Venezia 1556, cap. VlI, pp. 84 e 85. Il Beuter fu
protonotario apostolico sotto Paolo II!.

(11) V. in particolare V. DE POMPEIS, L'evoluzione della tipologia Orsini-Colonna, in «Castelli e la maiolica cinquecentesca italiana-, op. cit., 1990, pp.46-55. 

 

scavo finora disponibili che documentano la produzione tardo-quattrocentesca e della prima metà del cinquecento, infatti, c'è un divario notevole. Nell'attuale visione della ceramica castellana, il corredo sembra nascere fuori di ogni contesto, quasi all'improvviso, mentre una così notevole disinvoltura tecnica e stilistica presuppone altre cose del genere eseguite precedentemente.

Da qui la proposta, da noi avanzata nel 1986, che il "B'" appartenga a questa fase precedente della ceramica castellana, in quanto si presenta più classicheggiante, e soprattutto privo di quella forza tura quasi caricaturale dei tipi e dei colori che nell'OrsiniColonna denota una matrice pienamente manieristica e anticlassica (12) probabilmente influenzata da modelli fiamminghi.

Da allora su questa contestata ipotesi attributiva non è stato detto nulla che ci abbia fatto cambiare idea, ed anzi siamo più che mai della stessa opinione. Ci riferiamo in particolare all'intervento della dott.ssa C.Hess in occasione del Convegno di Pescara del 1989 (13) che è, per quanto ne sappiamo, l'unica contestazione formalizzata dell'attribuzione del "B'" a Castelli

  La dott.ssa Hess ribadisce in sostanza l'attribuzione tradizionale a Faenza, affermando che non vi sono sufficienti prove di una appartenenza del servizio a Castelli. Il punto debole della sua argomentazione è, a nostro avviso, il non aver approfondito su quali basi si regga l'attribuzione faentina: essa appare infatti assolutamente priva di fondamento documentario, e i reperti di scavo fino ad oggi disponibili consentono anzi di scluderla.

Per rendere evidente questo fatto, nella nostra replica all'intervento (14) presentammo una serie di albarelli del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza tutti provenienti dal sottosuolo della città, dei quali si può quindi sostenere con la massima probabilità che siano faentini. Questi esemplari, che datano dal secolo XIV alla prima metà del XVI, mostrano come a Faenza la forma dell'albarello resti pressochè costante, grosso modo a tronco di cono senza rastremazione centrale, e sia quindi ben individuata. Verso la fine del '400 si arricchisce, nei pezzi più importanti, di due cordonature a rilievo. Lo smalto, coprente e ricco di stagno, si presenta piuttosto opaco, e ricopre generalmente anche l'interno. La decorazione si dispone a fascia tutt'attorno all'albarello, senza suddivisioni in scomparti. Tutt'al più, negli esemplari i cui ornati sono più vicini a quelli del pavimento Vaselli (1487), compaiono dei medaglioni inseriti omogeneamente nel tessuto decorativo.

Tutto questo naturalmente contrasta con le caratteristiche dei "", che hanno uno smalto lucido, vetroso, che tende a scagliarsi, e la cui decorazione è sempre suddivisa in scomparti. Gli stessi colori e le specifiche stilizzazioni degli ornati non corrispondono a quelli di Faenza.

Riconosciamo che, allo stato attuale degli studi, è estremamente difficile connotare con esattezza certi aspetti della produzione faentina, in quanto non è stata ancora operata una revisione organica delle attribuzioni tradizionali passandole al filtro dei dati di scavo e di archivio. Per questo abbiamo operato il raffronto con il "B'" servendoci esclusivamente di materiale trovato nel sottosuolo faentino, e per il quale fosse ancora 


(12) C.FIOCCO-G.GHERARDI, op.cit., 1986, pp.290-293.

(13) C.HESS, L'enigma degli albarelli B 0, in "Castelli e la maiolica cinquecentesca uaiiana-, op.cit.,
1990, pp.46-55.

(14) Ibidem. pp.125-126 e [a'vv.VI-VII

 

 

possibile risalire alla forma originaria.

Come però sottolineammo fin dall'inizio, per passare ad una attribuzione sicura non bastano le analogie formali, ma occorrono riferimenti oggettivi, che in genere sono forniti solamente da reperti di scavo, analisi dei materiali o collegamenti con esemplari di certissima origine.

Per quel che riguarda i reperti di scavo, qualcosa comincia ad affiorare, anche se in quantità ancora ridotta. Ad esempio, fra la documentazione di scavo pubblicata nel volume sulla ceramica cinquecentesca abruzzese spicca un frammento (15) con un motivo di fiamme appiattite con piccole ciglia in arancio che, se trova il suo riscontro p puntuale negli albarelli a fasce riprodotti poco p avanti (16), è tuttavia parente strettissimo del motivo, di identica tonalità di colore, che orna il fianco dell'albarello B D della collezione Fanfani nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (tav, XXIX c).

Inoltre, grazie allo storico Aleardo Rubini, siamo state informate del rinvenimento a Pescara, in quella che era la sede dei Cavalieri di Malta, di un frammento i cui motivi ricorrono esattamente su molti albarelli "ED" (17). Tuttavia, poichè questi dati sono finora scarsi, non è nostra intenzione ritornare qui sul problema attributivo. Ci interessa invece evidenziare come il "servizio B 0" non rappresenti una tipologia isolata, ma sia strettamente collegato con almeno altri due gruppi di vasellame da farmacia, che verosimilmente hanno la stessa origine e che ne condividono in maniera assai stretta alcune caratteristiche di forma e decorazione.

Ci serviremo come riferimento di alcuni albarelli del servizio EO dal nostro punto di vista particolarmente interessanti. Uno di essi si trova nel Museo Duca di Martina a Napoli, e vi sono raffigurate due figure nude entro un riquadro che definisce la parte anteriore dell'albarello (tavv. XXIII, XXIV a, b).

Un altro si trova in una collezione privata di Bologna, ma è ben noto agli studiosi in quanto fu già nel 1934 pubblicato dal Ballardini nel catalogo della collezione Ducrot e successivamente da Giovanni Bolognesi, che ne era venuto in possesso (18). Vi è raffigurata una donna drappeggiata in un mantello (19), che con una mano regge un vaso e con l'altra innaffia una pianta (tav. XXIV c). In entrambi gli albarelli il riquadro centrale è affiancato da due larghe zone in cui si svolge un motivo "alla porcellana" dalle caratteristiche peculiari, sul quale vorremmo attirare l'attenzione: esso è disposto su rameggi ricurvi a spirale, terminanti in fogliette a felce con cinque o sette punte, e costellati di grossi fiori a crisantemo vivacizzati da una spirale bianca ottenuta graffiando il blu fino a rendere visibile lo smalto sottostante.

Un particolare dell'albarello ex Ducrot (tav, XXIV d) mostra tale caratteristica, anche se essa appare qui meno evidente a causa della quali molto vetrosa del rivestimento, che ha fatto lievemente colare la decorazione. La stessa foto mostra anche un'altro degli ornati più comuni del servizio B 0, una collana formata da perle ovali e rotonde, anch'essa ottenuta per graffiatura, che si dispone attorno alle spalle o al piede.

Questi due esemplari ci sembrano adatti per istituire alcuni raffronti piuttosto


(15) Ibidem: Ripr. lavo XVI, n. 13.

(16) Ibidem. pp. C 102-C 103, nn. 256-258.
(17) Ibidem: Ripr. lavo V1, n. 25.

(18) G.BALLARDINI, op. cit., 1934, lavo 12. G. BOLOGNESI, Di alcune maioliche nella collezione Giovanni BolognesiCcontinuazione) in -Faenza-, XLI (1955),1-2, p. 8, lavo III a.

(19) L'immagine deriva da una incisione di Marcantonìo Raimondi, ripr. in BARTSCH, vol. 27, n. 383

 

 

puntuali con un altro servizio da farmacia, altrettanto noto e sfuggente quanto a una collocazione precisa, chiamato "servizio T" dalla lettera tracciata sul retro, e che comprende albarelli e versatori (20).

Gli albarelli hanno una forma cilindrica, col collo alto e il piede ad anello piuttosto grosso, arrotondato; i versa tori hanno corpo ovoidale, anch'esso su un piede ad anello, con un beccuccio a tubetto collegato al collo mediante una treccia. La scritta farmaceutica, in caratteri latini, si dispone in un cartiglio attorno alla base, mentre la decorazione principale, entro un pannello più o meno rotondo incorniciato da una doppia linea, consiste per lo più in uno stemma non identificato, d'azzurro al monte di tre cime di verde in punta, sormontato da un olivo dello stesso, disposto in palo. Jeanne Giacomotti lo identificò dubitativamente con quello dei Cesi di Roma (21). In un esemplare del Wadsworth Atheneurn di Hartford, Connecticut, (22) tale scudo è invece sorretto da un guerriero armato, entro una scompartizione rettangolare (tav. XXV).

Osserveremo ora un versatore dal manico piatto e largo, e un albarello, entrambi contrassegnati con la lettera "T" nella parte posteriore (tav, XXVI a, b), venduti presso Sotheby's nel 1978 (23).

Essi infatti concentrano con particolare evidenza gli stessi motivi che ricorrono sugli albarelli "B O". Notiamo nel versatore la caratteristica "porcellana graffiata" disposta a tralci spiraliformi, la collana graffiata a perle alternativamente ovali e rotonde e, attorno al piede, il motivo a embricazioni sovrapposte che orna il collo dell'albarello B Duca di Martina. Di quest'ultimo motivo è probabilmente una versione anche quella attorno al piede dell'albarello ex Ducrot.

L'albarello "T" ci mostra anche un altro motivo comunissimo in entrambi i servizi, una finta cordonatura formata da una serie di tratteggi obliqui paralleli, mentre la fascia a rombi tagliati in croce alternati a tondi con un punto al centro, visibile anche attorno
alla base di un versatore "T" (tav. XXVII a, b) del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (24), corrisponde esattamente a quella, tracciata però sul fondo bianco, che circonda la base di un albarello BO del Louvre con un angelo annunciante (tav. XXVII c).

E i riscontri potrebbero continuare; è riconoscibile, ad esempio, la stessa rigida stilizza zio ne nella ghirlanda attorno al piede del versatore "T" ex Pringsheim, oggi al Louvre (25) e attorno all'albarello "B o" con donna seduta della Walters Gallery di
Baltimora (26). Allo stesso modo ricorrono, in entrambi i servizi, fasce ornate con file di crocette, linee a zig-zag etc.

Come abbiamo già sottolineato, le stesse forme degli albarelli sono simili, in entrambi lo smalto è vetroso perchè particolarmente ricco di piombo, e la decorazione non circonda mai con una fascia continua la rotondità del pezzo, ma è suddivisa in riquadri, oppure la scena centrale compare isolata entro una cornice di colore molto  accentuato.


(20) Per un elenco dei principali esemplari, v. C.RAVANELLI GUIDOTI!, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Donazione Paolo Meregbi, ceramiche europee ed orientali. Bologna 1987, scheda 41, p.155.
(
21) j. GIACOMOTII, Les majoliques des Musées nationaux, Paris 1974, p. 71, scheda n. 282.

(22) Wadsworth Atheneum Hartford, Connecticut, US.A., j.Pierpont Morgan Collection, inv. 1917.430, alt. cm. 30,6.

(23) SOTHEBY'S, Catalogue oJ Important Italiati Maiolica ... day oJ sale tuesday, 21st Nouember 1978London, nn. 56 e 57.

(24) ìnv. 6134, collezione Mereghi.

(25) Parigi, Museo del Louvre, inv. OA 9332, ripe in ].GIACOMOTTI, op.cit., n 282.

(26) Ripr. in "Castelli e la maiolica cinquecentesca uaitana-, op. cit., 1990, tav. V, n. 15

 

 

E' questo un elemento di notevole importanza, perché sembra caratterizzare il luogo di produzione. Basti pensare alla costanza con cui la distribuzione a fascia continua caratterizza.gli albarelli quattro e cinquecenteschi di Faenza e Siena, mentre a Deruta predomina nettamente l'uso di racchiudere entro una ghirlanda il motivprincipale.

Un altro gruppo che presenta forti legami con i BO è quello che potremmo definire della "porcellana colorata", in quanto l'elemento più appariscente che ne caratterizza l'ornato è costituito da grandi fiori rotondi di un bruno-arancio, con un tondo al centro e una corona di piccoli punti più chiari tutt'attorno (tavv, XXVIII-XXX).

Essi ravvivano un motivo "alla porcellana" nel cui svolgimento su rameggi curvati a spirale e nella cui stilizzazione è facile riconoscere quello che già abbiamo visto sia negli albarelli B o che nel servizio Ti l'impressione di diversità è data infatti più che altro dai fiori, che sono ora colorati.

Le forme a noi note sono anche qui albarelli e versatori. Rispetto ai B ° delle stesse dimensioni (tav. XXIX c) gli albarelli presentano una rastremazione più accentuata al centro, ma piede e spalle sono assai simili.

Anche per questo gruppo, come per gli altri due, le attribuzioni tradizionali oscillano paurosamente, e spesso convergono su Faenza. E' però interessante notare come uno di questi esemplari, un albarello con un rapace che divora un coniglio nel medaglione anteriore (tav, XXIX a), si trovii dal 1965 nelle collezioni del Museo
Internazionale delle Ceramiche di Faenza, donato dal conte Luigi Zauli Naldi (27). Esso reca la scritta farmaceutica "ISOPO.DS.GVL", in caratteri latini, entro una fascia che circonda la parte inferiore del corpo, mentre nella parte posteriore sono tracciate le lettere "P.P.A" sormontate da una croce di S.Spirito, e la data "1548".

Ebbene, nella scheda relativa, che risale all'epoca in cui Giuseppe Liverani era direttore del museo, l'albarello viene attribuito alla Toscana. Il Liverani, specialista e grandissimo conoscitore della ceramica faentina, non poteva infatti avvallare un'attribuzione a Faenza neppure in via ipotetica. Il motivo "alla porcellana colorata"
non trova infatti nessun riscontro nei pur numerosissimi frammenti "alla porcellana" provenienti da scavi di Faenza, di cui egli aveva curato la raccolta e l'esposizione.

La "porcellana" faentina è, sulla base di questo materiale di scavo, facilmente connotabile. Vi ricorrono alcune stilizzazioni ben definite, che però raramente sono a tralcio graficamente delineato, mentre brillano per la loro assenza sia i fiori colorati, chequelli arricchiti da spirali graffite (28) o quelli con la peculiare forma a garofano visibile 

sul versatore della tav. XXVII a.

Ci risulta che sia attualmente in corso una ricognizione del materiale di scavo faentino, e da una futura pubblicazione potranno emergere ed essere a disposizione

 

(27) Inv. 14425, alt. cm.19.

(28) Vi sono in realtà alcuni rari esemplari di area romagnola con un ornato "alla porcellana" i cui fiori presentano una spirale graffiata, piccola e poco sviluppata, che sembra collegarsi a una produzione forlivese, trovandosi sul retro di un piatto istoriato del Louvre contrassegnato dalla scritta "FATA IN FOR" (inv. OA 1761,
in]. GIACOMOTTI, op. cit., n. 908). Un caso di "porcellana graffiata" sicuramente faentino, che si trova sul retro di un piatto istoriato del Kunstgewerbemuseum di Berlino attribuito al "Pittore Verde" (inv. 32,47, ripr. in T.HAUSMANN, Kataloge des kunstgewerbemuseurns Berlin. VI. Majoliea. Spanische und Italienische Keramik vom 14. bis zum 18. jahrhundert, Berlino 1972, n. 127, p. 172). Tuttavia il motivo, su smalto azzurrato, non presenta affatto la disposizione delle fogliette su un tralcio spiraliforme ben delineato, che consideriamo tipica nella stilizzazione di cui ci stiamo occupando. Ci sembra dunque che si tratti di una occasionale variantdecorativa del "Pittore Verde", il quale in genere diversifica notevolmente gli ornati sui retri.

 

 

degli studiosi i caratteri tipici dell'ornato alla porcellana locale, in apparenza simile a molti altri, ma in realtà perfettamente distinguibile. Quanto agli altri motivi decorativi presenti sull'albarello, è possibile notare attorno alla parte superiore e inferiore del corpo la finta cordonatura formata da tratteggi paralleli graffiati sul blu, g vista sia negli esemplari "B 0" che in quelli "T".

Allo stesso servizio appartengono presumibilmente il grande versatore a corpo ovoidale, con beccuccio a tubetto, venduto presso Semenzato a Firenze nel 1989 (tav, XXVIII a, b) e quello del tutto analogo del Museo del Palazzo dei Consoli di Gubbio (tav, XXVIII c, d). Sono infatti contrassegnati sul retro dalle stesse lettere e dalla stessa data. L'ansa, larga e nastriforme, è uguale a quella dei versatori "T", mentre attorno alla base si svolgono, in tre fasce sovrapposte, alcune significative decorazioni: innanzitutto una collana graffita a perle alternativamente ovali e rotonde, comune ai "B o" e ai "T"; poi una linea spezzata a zìg-zag con triangoli contrapposti quale possiamo vederla anche attorno all'albarello del museo di Faenza con il rapace e il coniglio e a quello in collezione privata (tav, XXIX b), ma anche sull' albarello "B o" della collezione Fanfani, anch'esso nel museo di Faenza (tav, XXIX c); infine una serie di piccoli cerchi per i quali il riferimento ovvio è al servizio Orsini-Colonna, dove essi ricorrono con estrema frequenza.

Gli esemplari "alla porcellana colorata" sono piuttosto diffusi nelle collezioni pubbliche e private, e quasi sempre recano la data e tre lettere di cui quella centrale, più grande, è sormontata dalla croce di Santo Spirito. Uno dei più interessanti, un vaso un tempo nella collezione Schiff (tav. XXIX d), recava due medaglioni contrapposti, con le raffigurazioni rispettivamente del profeta Davide e di Apollo.

Un altro, un albarello del Museo d'Arte Antica di Roma con la raffigurazione di S.Sebastiano (tav. XXX a, b) è stato di recente pubblicato dal Mazzucato, che correttamente ne rileva l'analogia con il gruppo "B?", pur mettendo in dubbio la connessione con la produzione castellana (29). Ci riesce difficile, a questo punto, evitare di sottolineare l'estrema analogia stilistica fra il S.Sebastiano sull'albarello, lo stesso santo su uno dei mattoni di S.Donato a Castelli (tav, XXX c), e l'immagine di Lucrezia su un vaso appartenente al gruppo degli "Orsini-Colonna" nelle collezioni del Museo di Palazzo Venezia a Roma (tav. XXX d). I particolari "morellìani" sono eseguiti con tale identità di modi da far supporre un. unico autore. Ad esempio, il modo di tracciare la scriminatura
centrale dei capelli, sottolineati da tratti di blu, ondulati a ciocche, o il modo particolarissimo di delineare gli occhi grandi e infossati, e soprattutto le pennellate arancioni che sottolineano la bocca, e che ritroviamo anche in parecchi personaggi della tipologia Orsini-Colonna, oltre che nell'albarello col guerriero che regge uno stemma (tav. XXV). Quest'ultimo particolare, difficilmente riscontrabile in altri centri, ha rapporti stretti con le statue lignee abruzzesi, ad esempio di Silvestro dell'Aquila, sui cui volti idealizzati spiccano bocche estremamente naturalistiche. La "porcellana graffita", con il suo caratteristico tralcio a spirale, coinvolge una grande quantità di vasellame da farmacia al di fuori dei gruppi qui considerati, ed apre una problematica estremamente complessa. Per lo più si presenta con la caratteristica graffitura a spirale; talvolta però essa è cruciforme, oppure manca completamente, lasciando il fiore di un blu omogeneo.


(29) V. Le ceramiche da farmacia a Roma tra '400 e '600, a cura di O.MAZZUCATO, Viterbo 1991scheda n. 35, p. 60, dove l'albarello è attribuito a probabile fabbrica faentina o derutese.

 

 

Questa versione di "porcellana" è tuttavia sempre riconoscibile dal tralcio spiraliforme su cui si dispongono foglie e fiori.

L'argomento è vasto e pieno di insidie, e ci ripromettiamo di continuare la ricerca nel prossimo futuro, sperando di poterlo prima o poi affrontare in modo organico.
I
ndispensabile sarebbe la disponibilità materiale di scavo, che purtroppo finora non è emerso. Ci limiteremo qui a proporre l'argomento, presentando tre esemplari che ci sembrano particolarmente significativi, tutti ornati in monocromia blu.

Il primo è un albarello della collezione Cora, nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (1), fornito di manici a torciglione estroflessi alla base (tav, xxxi a). Questi manici sono assai simili a quelli che compaiono nelle fiasche dell' "Orsini-Colonna", mentre attorno al collo si distende una fascia percorsa da una linea spezzata a zig-zag del tipo già visto nel "BO" e nella "porcellana colorata". Il secondo esemplare appartiene allo stesso museo, ed è un versatore della collezione Mereghi (31) con l'immagine di un coniglio, e col beccuccio rilevato e tratteggiato a scaglie (tav. XXXI b). Infine, ecco un versatore nel Museo del Vino di Torgiano, con un putto seduto che regge una corona in mano (tav.XXXI c).

I due versatori, anche se hanno una forma leggermente diversa, presentano fra loro analogie nell'impostazione del collo e dell'ansa, che in entrambi i casi è nastriforme e con un peculiare profilo "a sella", quale si riscontra anche nei versatori del servizio "T" e in quello alla "porcellana colorata". Inoltre la figura centrale è racchiusa entro un tondo collocato sotto il beccuccio, secondo uno schema anch'esso già visto nelle due tipologie citate. Ci sembra inoltre che lo stile grafico del putto di Torgiano, il modo di delineare il viso e scorciare gli arti, nonchè di stilizzare le nuvole e il paesaggio ricordino da vicino quelli del grande versatore alla "porcellana colorata" della tav.XXVIIIc e di alcuni putti su albarelli .

Su queste ultime osservazioni è comunque prematuro tirare delle conclusioni; sicuramente la "porcellana graffita" costituisce un complesso su cui vale la pena indagare, e che promette interessanti sviluppi.

Per quel che riguarda l'attribuzione, che "non è lo scopo ma il fondamento di ogni seria ricerca" (32) a questo punto degli studi ci sembra che tutti gli indizi puntino verso l'Abruzzo (Castelli), o comunque verso una località dell'Italia centrale (esclusa Deruta, le cui tipologie sono nel complesso abbastanza note e che non presenta nei suoi frammenti di scavo "alla porcellana" questa stilizzazione) che graviti sull'area in cui convergono le Marche meridionali, l'Umbria e il Lazio, area caratterizzata da continui scambi culturali e commerciali (33).

Questo centro deve aver avuto una enorme produzione prima della metà del secolo XVI, poiché le date conosciute riportano prevalentemente al 1548 (34), volta


(30) Inv. 21096.
(3
1) Inv. 6183.

(32) G.C.AHGAN - M.FAGIOLO, Guida a la Storia dell'Arte, Firenze 1974, p.ll2.

(33) V. C.FIOCCO - G.GHERARDI, La maiolica di Deruta e i rapporti con la produzione castellana, in "Castelli e la maiolica cinquecentesca italiana-, op.cit., p. 150.

(34) Recano questa data l'albarello col rapace e il coniglio "alla porcellana colorata" di Faenza, il versatore con i putti venduto all'asta di Semenzato, e un versatore simile un tempo nella collezione Francis W. Lewis, tutti dello stesso corredo, recando sul retro le stesse lettere "PPA" sormontate dalla croce di S.Spirito. Lrecano inoltre due albarelli simili in collezione privata, con la sigla "PPF", e un versatore della collezione Fanfani del Museo Internazionale delle ceramiche di Faenza, con ghirlanda alla porcellana graffita, attribuito a Deruta.

 

 

 

soprattutto  al  vasellame  da farmacia.

L'argomento è complesso, e potrebbe trarre vantaggio dallo studio delle antiche farmacie, dei loro emblemi e della loro dislocazione; ma soprattutto delle zone interessate alla produzione e al commercio di erbe destinate alla farmacopea, fra cui sicuramente l'Abruzzo, noto fin dall'antichità per la coltivazione dello zafferano. Qui è probabile che i vasai producessero vasellame da spezie in proporzione moltosuperiore a quella di altre zone.

 

Some observation on Orsini-Colonna, the H' seruice, the T service and "coloured porcelain".

The albarellos of the said "B?" group, which we have already, on other occasions, linked to production in Castelli d'Abruzzo, are not isolated in the context of pharmaceutical earthenware.

Decoration, form and quality of glaze link at least two other groups of pharmaceutical earthenware: the "T service", and that which thanks to its decoration may be called "coloured porcelain", often dated "1548". Amongst the elements which these services have in common: the presence of "porcelain" shoots on a delicate yet well -defined stalk which continues in a spirai up around the jar, finishing in large flowers in monochrome blue with spirai engraving, in a variety of shapes, or with dotted shading and coloured orange and green. Comparisons made between this earthenware and the findings of excavations in Faenza exclude their attribution to Faenza, whilst the evident similarity to servìce "B o" tends to suggest an attribution to centra] Italy, influenced by Castelli production of the Iéth Century, in which pharmaceutical earthenware appears to havbeen produced in large quantities. On this subject, the comparison between a "coloured porcelain" albarello depicting St. Sebastian, the saint who appears on one of the St. Donato 16th Century blocks at Castelli, and the image of "Lucrezia romana" on one of the "Orsini-Colonna" group vases, is very convincing, since the two appear to have beenpainted by the same person.

 

Einige Betrachtungen ùber die Or sini Colonna, das F Seruice, das T Seruice und das 'farbige Porzellan".


Die "Albarelli" der sogenannten Gruppe "B 0", die wir bereits bei anderer Gelegenheit mit der Keramikproduktion in Castelli d'Abruzzo in Verbindung gebracht hatten, stehen im Kontext der Apothekergefaìse nicht allein da. Ornamente, Formen und Qualitat der Glasur verbinden sie mit mindestens zwei weiteren Gruppen voApothekergefaìsen: dem "T" Service und dem wegen seinem vorherrschenden dekorativen Motiv sogenanntem 'farbìgen Porzellan", das haufìg "1548" datiert ist. Zu den gemeinsameElementen gehoren die Triebe "alla porcellana", die auf einem dunnen, aber gut erkennbaren Stiel sitzen, der sich spìralformìg windet und in grofsen Bluten endet, die entweder einfarbig blau, mit eingeritzten Spiralverzierungen versehen und unterschiedlicgeformt sind, oder gepunktet sind und orange oder gelb gefarbt sein konnen. Der Vergleich zwischen diesen Gefafsen und den Fundstucken der Ausgrabung von Faenza laBt Faenza als Herkunftsort ausschliefsen, wahrend die offensichtliche Ahnlichkeit zum Service "B'" eher auf Mittelitalien als Herkunftsort deutet, und zwar auf die Produktion von Castelli aus dem 16.]h., bei der anscheinend die Herstellung von Apothekergefaisen vorherrschend war. Besonders aufschluìsreich erscheint hierbei ein Vergleich zwischen einem "Albarello" aus "gefarbtem Porzellan" mit einem Bild des Hl. Sebastian, einer Abbildung desselben Heiligen auf einem Ziegelstein aus dem 16. Jh. von S. Donato in Castelli und der "Lucrezia Romana" auf einer Vase der Gruppe "Orsini-Colonna", die sogar von der selben Hand zu stammen scheinen.


Quelques considérations sur le groupe Orsini-Colonna, le seruice F, le sennce T et la 'porcelaine de couleur".


Les vases de pharmacie du groupe dénom "B 0" que nous avons déjà mis en relation avec la production de Castelli (Abruzzes) nes sont pas isolés dans le contexte de la vaisselle de pharmacie. On peut mettre en rapport à ce type de vaisselle au moins deux autres groupes de pots de pharmacie qui présentent des analogies de coration, de forme et de qualité de l'émail: à savoir le "service T" et celui qui, d'après le motif coratif dominant peur ètre dénommé de "la porcelaine de couleur" et qui est souvent daté de "1548",

Parmi le éléments communs il faut souligner la présence de sarments "à la porcelaine" disposés sur une tige mince mais bien dessi né e et continue qui s'enroule à spirale et se termine avec de grandes fleurs qui peuvent ètre soit en monochromie bleue avec des gravures à spirales de formes variées ou bien pointillées et peintes en orange et vert. La comparaison entre cette vaisselle et les produits des fouilles de Faenza porte à exclure une attribution à cette ville, tandis que les affinités évidentes avec le service "BO" tendent à en suggérer une plus liée à l'Italie centrale dans l'orbite de la production de Castelli du XVIe scle, la vaisselle de pharmacie semble avotr été très importante. A ce propos résulte particulièrement convaincante la comparaison entre un "albarello" à la porcelaine de couleur" figure un Saint Sébastien, la représentation du mèrne saint sur une des briques du XVIe siècle de S, Donato à Castelli et la "Lucrèce romaine" peinte sur un vase du groupe Orsini-Colonna qui résultent mèrne exécutés par la mème main.

 

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