Ceramiche Medicee.

Carola Fiocco - Gherardi Gabriella. In Ceramica e araldica Medicea, a cura di G.C.Bojani, 1992, pp.21-52.

 

 

Nel gennaio del 1478 Donato Giannarino, giureconsulto di Arezzo, vicario e vice-podestà di Pesaro, scrisse una lettera a Lorenzo il Magnifico, per avvisarlo dell'invio di parecchi vasi da Pesaro (1); si tratta di un servizio, accuratamente elencato, che il donatore definisce "tavoletta", e che il Magnifico avrebbe dovuto usare durante i soggiorni nella villa di Careggi.

L'elenco è di grande interesse per gli studiosi di ceramica, in quanto mostra come già a quei tempi fossero codificati i pezzi necessari per un servizio completo, seppure non grandissimo e destinato per così dire alla campagna (2); ancora più interessante è che il Giannarino trovasse la maiolica allora prodotta in Pesaro del tutto adeguata al livello richiesto per un dono a tale personaggio.

Per quel che riguarda per l'argomento della presente mostra, occorre sottolineare il fatto che il Giannarino considerava indispensabile che sulle ceramiche destinate a Lorenzo comparisse lo stemma mediceo. Nella lettera egli specifica infatti che, essendosi rotto il rinfrescatoio, senz'altro il pezzo più rappresentativo e grande del servizio, lo aveva dovuto sostituire con un altro che il ceramista aveva in bottega già pronto, e che era in origine destinato al Vescovo di Arezzo; di conseguenza, alle armi di quest'ultimo, già tracciate in precedenza, furono aggiunte quelle medicee.
Fortunatamente il Vescovo di Arezzo era, con ogni probabilità, Gentile Becchi di Urbino, antico precettore di Lorenzo, e la presenza del suo stemma non doveva di conseguenza essergli sgradita. Diverso il caso di un Malatesta, che a sua volta inviò a Lorenzo dei vasi; essi recavano però non lo stemma mediceo, bensì quello del mittente. Lorenzo ringrazia, e scherzosamente sottolinea che non occorreva la presenza delle armi malatestiane perché egli si ricordasse del donatore, in quanto questi era sempre presente nei suoi pensieri (3).

Come si vede, gli stemmi sono un elemento importante per la decorazione ceramica; contrassegnano i pezzi di proprietà, e di regola lo stemma è quello del proprietario.
Non mancano tuttavia esempi in cui sul
vasellame compaiono le armi del donatore.
Gli stemmi si trovano anche su vasellame non eseguito su commissione, e destinato al mercato; in questo caso sono intesi quale semplice omaggio a una famiglia dominante, e gradualmente assimilati nella decorazione corrente.

È questo il caso di quei "massacri politici" di stoviglie anche faentine recanti la sega bentivolesca, avvenuti nel mercato di Bologna dopo la caduta dei Bentivoglio, di cuiil Rubbiani trovò menzione nella Cronaca Riniera (4). Questi episodi di intolleranza indicano dunque che l'araldica costituiva talvolta un ornamento diffuso, al di là della committenza, specie se si trattava delle famiglie più in vista.

Questo libero uso degli stemmi non era esente da rischi di altro genere. Un aspetto negativo era costituito dal fatto che talvolta essi venivano deformati, o eseguiti con una disinvoltura che poteva alla fine risultare offensiva. A questo proposito è opportuno ricordare un emendamento apportato nel  

1378 allo statuto dei vascellari di Orvieto, che proibiva agli affiliati di decorare con stemmi il vasellame, se non su specifica richiesta degli acquirenti (5).

L'intenzione evidente è di limitare gli abusi; non è però escluso che regole come questa abbiano provocato deformazioni intenzionali, per creare scudi inesistenti ed aggirare il divieto conservando l'elemento araldico nella decorazione. A Orvieto questo potrebbe essere avvenuto con la caratteristica inversione delle bande doppio-merlate dello scudo dei Monaldeschi, che spesso divengono sbarre (6). La frequenza con cui questo si verifica sembra escludere l'errore, e indicare una precisa volontà.

Tutti questi elementi contribuiscono a rendere difficile e complicata la corretta identificazione degli stemmi sulla ceramica, che è tuttavia la premessa indispensabile perché l'araldica possa costituire un valido aiuto agli studi. Per il ceramologo infatti essa non solo è interessante da un punto di vista sociologico, per inquadrare la committenza, ma soprattutto in quanto può fornire indicazioni utili per l'attribuzione e per la cronologia.

Per quel che riguarda l'attribuzione, occorre innanzitutto sottolineare che uno stemma non è di per determinante per decidere la provenienza di un pezzo; fornisce però una conferma ad altri elementi stilistici e morfologici, se questi convergono verso la stessa area geografica cui anch'esso rimanda. È comunque tanto più significativo quanto meno la famiglia è importante e nota al di fuori della propria zona, oppure per quei periodi nei quali il commercio delle ceramiche era scarso al di fuori dei mercati locali, e la produzione serviva per lo più ai bisogni interni.

Questo avviene specialmente nei secoli XIII e XIV, quando i primi esempi di maiolica venivano per lo più prodotti da una miriade di forni disseminati anche nei centri più piccoli. Anche se non mancano esempi di esportazione a vario titolo (la chiesa di San Nicolò a Deruta già nel 1290 pagava con una soma di vasi il dovuto acapitolo della cattedrale di Perugia, da cui dipendeva (7), e nel trecento i vasai derutesi contribuivano con la propria merce al fabbisogno abnorme del sacro convento di Assisi (8), in linea di massima il prodotto "arcaico" è legato al luogo di produzione, e la presenza di determinati stemmi acquista dunque maggiore significato a fini attributivi. Purtroppo si tratta anche del periodo in cui la loro identificazione è più difficile; i vasai utilizzano infatti per la decorazione soltanto due colori, il verde di rame e il bruno di manganese, cui aggiungono alla fine del trecento il blu di cobalto.
Se co
nsideriamo l'importanza enorme, nell'araldica, degli smalti, che in molti casi sono l'unico elemento in grado di distinguere uno stemma dall'altro, è facile comprendere quanto sia problematica un'identificazione corretta in queste condizioni. Anche in epoche successive, comunque, i ceramisti non disporranno mai di tutti i colori necessari, e questo basta a rendere difficili riproduzioni accurate.

Oltre ai limiti tecnici, intervenivano poi la scarsa cultura e la cattiva comprensione dell'emblematica; di conseguenza la tendenza a variazioni arbitrarie era comune.
Anche lo stemma mediceo va soggetto a notevoli varianti, a seconda che si trovi su pezzi commissionati o comunque destinati alla famiglia, o su ceramiche d'uso di livello piuttosto basso, dove è tracciato in maniera corsiva e veloce; fortunatamente, è nel complesso sempre ben riconoscibile. Il potere e la fama della famiglia Medici hanno fatto sì che il loro stemma sia fra i più diffusi, non soltanto nella ceramica toscana, ma anche in quella di altre regioni.

Esso consente talvolta di datare con una certa precisione le ceramiche, ed è di conseguenza assai utile al lavoro dello storico; infatti, specie negli esemplari importanti, viene tracciato con cura in ogni suo aspetto, accostato magari ad altri stemmi in maniera storicamente determinabile, e collegabile a personaggi riconoscibili, a matrimoni, a papati.

E anche diffuso nella ceramica spagnola a lustro, prodotta nei secoli XV e XVI soprattutto a Valenza, Manises e dintorni, che veniva esportata in Italia e assai apprezzata per la presenza del riflesso metallico dorato o ramato che i vasai di quei luoghi avevano appreso dai mori, e che utilizzavano comunemente già in epoche in cui era ancora sconosciuto ai loro colleghi italiani.

Coloro dunque che qui in Italia avessero voluto il proprio stemma su una di quelle splendide ceramiche che avevano l'aspetto dell'oro non avevano altra scelta che commissionarle alle officine valenzane. In seguito, a partire circa dalla fine del secolo XV, le officine umbre e, in minima misura, quella di Cafaggiolo supplirono a questa carenza e diedero vita alla grande stagione dei lustri italiani; fino ad alloraperò, era necessario rivolgersi agli spagnoli. La frequenza di tali importazioni è nota e ben documentata; essa emerge, fra l'altro, dalla consistenza del vasellame spagnolo in un elenco degli oggetti presenti in una ricca casa pisana, proprietà di Jacopo di Giovanni Ottavanti, quale risulta da un inventario del 1480 pubblicato dallo Spallanzani (9), Le ceramiche di casa sono distinte, nell'inventario, in "lavori di maiolicha", termine con cui allora si chiamava il lustro, e in "lavori di Montelupo", in semplice policromia, eseguiti nel celebre centro toscano vicino a Firenze.

I primi sono senz'altro di provenienza spagnola, e sono numericamente preponderanti (55 contro 17 esemplari montelupini) (10); alcuni recano al centro il monogramma di Cristo, ma altri lo stemma della famiglia Ottavanti e dei Cambini, mentre fra le decorazioni spicca quella "a fiordaliso",che corrisponde probabilmente alla "foglia di prezzemolo" della terminologia corrente.

Per gli arrivi di merci dalla Spagna, Pisa, ormai sotto il dominio di Firenze dall'inizio del XV secolo, rappresentava uno dei porti più attrezzati; da là era facile poi l'accesso ai mercati interni, e a quello fiorentino in particolare. Questi stretti collegamenti spiegano la frequenza con cui gli stemmi delle 

 

 

 

 

 

 

 

 

6. Grande vaso con anse crestate,
probabilmente prodotto in area
valenzana dopo il 1465, con su un lato
l'anello diamantato con due penne
sull' altro lo stemma mediceo.
Londra, British Museum

 

ricche famiglie degli originali, e costando due, tre volte di meno sul mercato (15). È questo il caso di un ben noto vaso nelle collezioni del Detroit Institute of Arts (fig. 7), con lo stemma d'alleanza Medici-Orsini, che mostra un'evidente derivazione dalla stessa tipologia
c
ui appartiene il vaso del British Museum, sia nella forma del corpo che nei caratteristici manici a cresta, mentre la decorazione ricalca quella a foglie di prezzemolo, comunissima nella ceramica valenzana.

Il vaso fu pubblicato dal Middeldorf nel 1937 (16), poi ripreso varie volte quale esempio di committenza medicea e di ceramica databile anche per via araldica (17); si tratta infatti di uno di quei casi fortunati in cui l'araldica concorre alla datazione del pezzo con una certa precisione, anche se non assoluta, essendo stati due i matrimoni Medici - Orsini: quello di Lorenzo con Clarice, avvenuto nel 1469, e quello del loro figlio Piero con Alfonsina, avvenuto nel 1487. L'ipotesi p probabile è che il vaso celebri il primo matrimonio; non vi sono tuttavia elementi tali da suggerirlo con sicurezza.

Fra i contributi più interessanti allo studio di questo esemplare c'è un articolo dello Spallanzani, che trovò traccia del vaso in un inventario relativo agli oggetti conservati nella villa di Poggio a Caiano (18); dove si annota che esso si trovava in una stanza vicino alla cucina; il documento purtroppo è privo di data, ma si può presumere fosse compilato in occasione di una vendita seguita alla cacciata dei Medici da Firenze nel 1494, e alla contemporanea confisca dei loro beni.

Un altro esempio di imitazione spagnola da parte di officine toscane è fornito da un piatto del Museo del Bargello con lo stemma mediceo al centro del cavetto, entro uno scudo triangolare (fig. 8); attorno alla tesa si dispone infatti un tralcio delle consuete foglie di vite, le cui venature sono graffite sul fondo blu, mentre lo scudo è
racchiuso entro un disco solare il cui colore giallo risulta chiaramente un sostituto del lustro.

Lo stemma mediceo non reca questa volta la palla d'azzurro caricata dei tre gigli di Francia, e il piatto dovrebbe quindi collocarsi in una data precedente il 1465, in perfetta coerenza con i dati stilistici, che ci orientano appunto verso la metà del secolo.

Nel 1494 la cacciata del figlio di Lorenzo, Piero, determina una momentanea eclisse della famiglia, a favore del ramo di Lorenzo di Pierfrancesco, che rinuncia addirittura al proprio nome e lo trasforma in quello di "Popolano". Solo quando un altro figlio di Lorenzo, Giovanni, diviene papa col nome di Leone X assistiamo a una ripresa di prestigio e al rientro dei Medici in Firenze. Le loro armi riprendono a dominare nella ceramica, e spesso la presenza della tiara e delle chiavi papali mostra uno specifico omaggio al papa.

Un elemento di confusione tuttavia è dato dal fatto che il pontificato di Leone X fu seguito, dopo un breve intermezzo, da quello di un altro esponent

 

8. Piatto con stemma mediceo entro triangolo e foglie di edera attorno alla tesa, produzione toscana, circa 1450-60.

Firenze, Museo del Bargello

 

dellfamiglia, Giulio, figlio di Giuliano fratello del Magnifico, che prese il nome di Clemente VII; di conseguenza entrambi questi pontefici hanno stemmi il più delle volte uguali, anche se talora intervengono elementi che permettono di determinare di quale pontificato si tratti.

Questo avviene, ad esempio, per le mattonelle da pavimentazione provenienti da Castel Sant' Angelo (scheda n. 2), ritrovate durante lavori di restauro nella cappella di San Michele nel "cortile delle palle". Esse sono decorate "a cuenca", secondo una tecnica diffusa nelle officine spagnole a partire dall'inizio del secolo XVI, e che consiste nel ricavare l'ornato premendo sull'argilla ancora cruda uno stampo in rilievo. I margini rialzati del disegno fungono da barriera per impedire il mescolarsi dei colori.

Vista la tecnica, la tipologia decorativa e le tracce che ancora rimangono di lustro, il pavimento fu probabilmente eseguito a Manises, vicino a Valenza. Leone X ne fu il committente: su alcune mattonelle compare infatti il leone, che richiama il nome del papa; vi sono poi l'anello col diamante, il giogo e la testa di moro, stemma dei Pucci. Quest'ultimo onora Lorenzo Pucci, il primo cardinale nominato da Leone X nel 1513.

Nei peducci della copertura a volta, anch'essa ripristinata durante gli stessi restauri, furono poi ritrovati gli stemmi di Raffaele Petrucci, vescovo di Grosseto, nominato da papa Leone castellano di Castel Sant' Angelo, e da lui porporato. Non può esservi quindi dubbio sul periodo in cui furono eseguite le mattonelle.

L'interesse di Leone X per la ceramica valenzana è evidenziato anche dal boccale del Museo Civico e Medioevale di Arezzo (scheda n. 1), e dai due piatti rispettivamente nel Museo Civico di Bologna (fig. 9) e nel British Museum di Londra (19), probabilmente appartenenti allo stesso servizio, vista l'omogenei degli ornati. In tutti e tre gli esemplari ricorre infatti lo stemma sormontato dalla tiara, stilizzata in maniera peculiare

 L'identificazione del committente con Leone X si basa questa volta più che altro su elementi di affinità stilistica: la decorazione flore ale, la scompartizione degli ornati e quella del retro delle forme aperte è tipica della ceramica valenzana fra la fine del secolo XV e gli inizi del XVI. Anche l'ornato a finti caratteri cufici rimanda allo stesso periodo: compare, ad esempio, sui piatti recanti lo stemma di Domingo Porta, 

abate di Poblet dal 1502 al 1526 (20).

Il piatto di Bologna reca il motto "GLOVIS", usato sia da Leone X che da suo fratello Giuliano, duca di Nemours, morto ne11516. Secondo il Vasari, si tratta delle iniziali di Gloria, Laus, Onor, Virtus, lustitia, Salus, che il Magnifico Giuliano riteneva fossero entrate finalmente nella sua casa con il pontificato del fratello (21).
Secondo Paolo Giovio, il motto entro un triangolo fu invece adottato da Giuliano quando, sposata la zia del re di Francia e divenuto gonfalonier

 

9. Piatto con lo stemma mediceo sormontato dalla tiara e dalle chiavi
papali, affiancato dal motto "GLOVIS", circondato da scomparti
con ornati geometrici e vegetali stilizzati, e da una fascia con elementi simili a una calligrafia. Valenza o Manises, 1513-'21.

Bologna, Museo civico medievale. 

 

dellChiesa, ritenneche la sua fortuna, fino ad allora cattiva, si fosse finalmente girata: rovesciato, infatti, il motto si legge "Si volg”(22).

Il "Glovis" ricorre anche su un piatto dove è raffigurata una figura maschile, probabilmente Abele, inginocchiata davanti a un altare su cui sacrifica una pecora (fig. 10): esso è scritto su un riquadro nel fianco dell'ara, su cui arde un ceppo ardente, anch'esso impresa medicea, che allude alla rinascita. Il piatto va pertanto riferito allo stesso periodo del precedente, mentre la presenza su retro della sigla "SP" e della scritta "Inchafaggiuolo" consente di attribuire con sicurezza il piatto a questo centro toscano.

L'autore è dotato di un segno asciutto, quasi caricaturale; il Rackham lo identificò con il "Pittore della processione papale", autore della coppa del Victoria and Albert Museum di Londra su cui è rappresentato Leone X in processione, benedicente, sulla sedia gestatoria, fra cardinali, ecclesiastici e soldati (fig. 11) (23). Davanti a lui procede Hanno, l'elefante avuto in dono da Manoel di Portogallo nel 1514, e che mo nel '16: la presenza dell'animale permette di identificare il papa e di precisare gli anni cui il soggetto si riferisce. La scena è festosa, riempie completamente la superficie con un andamento a fasce sovrapposte; questa volta la sigla sul retro è una "P", circondata da cerchi concentrici in blu.

Rispetto a quella di Montelupo, da cui pure deriva, la produzione di Cafaggiolo, quantitativamente limitata, presenta però dei picchi elevati, dovuti alla presenza di maestri di eccezionale abilità.

La bottega prende inizio nel 1487, con Stefano e Piero di Filippo, che da Montelupo si trasferiscono in un annesso del castello mediceo, ristrutturato da Michelozzo. Esso apparteneva a un ramo collaterale dei Medici, a quel Lorenzo di Pierfrancesco cugino del Magnifico che, durante la crisi savonaroliana e l'assenza della famiglia a seguito della cacciata del 1494, aveva assunto il nome di "Popolano" e sostituito lo stemma tradizionale con la croce del popolo. Non risulta tuttavia che l'attivi ceramica nel castello sia legata al mecenatismo dei padroni di casa, poiché i vasai pagavano l'affitto, e venivano a loro volta pagati per il vasellame, anche quando questo era destinato a Lorenzo (24).

Sotto l'aspetto decorativo, non vi sono differenze rilevanti fra la produzione cafaggiolese e quella montelupina; in pratica, l'unico criterio valido per operare una distinzione sicura è la presenza della marca "SP", probabilmente composta dalle iniziali di Stefano e Piero. La manifattura produsse tuttavia alcuni esemplari istoriati di eccezionale pregio, tradizionalmente legati alla personalità di Jacopo, figlio di Stefano (25).

Vi sono poi altri maestri generalmente riconosciuti, come il "Pittore di Vulcano", il pittore che contrassegna le proprie opere col tridente, il monogramrnista “Af”. Nel complesso, la manifattura sembra rivolgersi a una 

 

11. Piatto con Leone X in processione, circondato da armigeri e dignitari, preceduto dall'elefante Hanno. Cafaggiolo, circa 1516.

Londra, Victoria and Albert Museum.

 

comrnittenza di alto livello, che richiede talvolta opere di notevole elaborazione. È il caso dello splendido boccale del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (fig. 12), che onora anch'esso il primo papa mediceo: vi è infatti raffigurato il ritratto di Leone X, di profilo, entro ornati "alla porcellana" caratterizzati dalla "mezzaluna dentata", tipica della produzione toscana. Il boccale è eccezionale, e forse fu eseguito in occasione di una visita del papa al castello, avvenuta nel 1515 (26).

Ma l'esempio più clamoroso di araldica legata a papa Leone è costituito da una grande coppa, anch'essa di Cafaggiolo, conservata nelle collezioni del British Museum (fig. 13), che di spiega un vero e proprio repertorio di emblematica medicea.
Lo stemma centrale, sormontato da una testa di leone, dalle chiavi e dalla tiara, permette di collocare la coppa nei limiti cronologici del pontificato di Leone X.
L'interno riunisce le sue principali imprese: l'anello diamantato, il giogo, l'aquila e una ruota attraversata da un chiodo, che potrebbe alludere alla ruota della fortuna bloccata nel suo percorso, e di conseguenza eternamente favorevole ai Medici (27), All'esterno si susseguono invece tre stemmi medicei alternati a quelli di famigliimparentate col papa: Orsini, Strozzi, Salviati. Le grottesche che ornano l'interno e l'esterno della coppa sono di eccezionale finezza: sirene, putti, teste angeliche, draghi e varie figure mostruose forniscono un saggio esemplare dell'abilità demaioli cari toscani del rinascimento.

I vasai di Cafaggiolo erano fra i pochi in grado di applicare sulle loro maioliche il lustro; lo dimostra una serie di oggetti contrassegnati dalla "SP", arricchiti da una metallizzazione dorata talvolta di tono ramato, che ricorda i prodotti spagnoli.
S
econdo l' Alinari, però, non è tanto dalla Spagna che pervennero i modelli di questa peculiare produzione, quanto da Deruta: vi sono infatti notevoli coincidenze di forma e di distribuzione decorativa che inducono a questo accostamento.

La stessa terra, pur non potendosi dubitare dell'origine cafaggiolese dei pezzi, a causa della sigla e della presenza di caratteristiche toscane negli ornati, appare diversa da quella degli altri manufatti, tanto che l' Alinari ipotizza la presenza di un vasaio derutese che, dopo essersi trasferito, insiste a utilizzare terre umbre (28).

La cronologia dei lustri di Cafaggiolo è tutt'altro che sicura; di conseguenza, non facile datare il piatto con tesa a scomparti al centro del quale spicca lo stemma mediceo (fig. 14).

Si può supporre che esso coincida all'incirca con la ripresa dell'emblematica medicea dopo il rientro della famiglia a Firenze nel 1512.

Rispetto a Cafaggiolo, Montelupo è un centro di capacità produttiva incomparabilmente più vasta; nel suo periodo più fortunato, tra la seconda metà del secolo XV e la prima del XVI, esporta quantità enormi di materiale, perfino in Inghilterra e Olanda, oltre che nel bacino del Mediterraneo.

La documentazione archeologica, di cui solo recentemente è stata valutata

12. Boccale con il ritratto di papa Leone X, Cafaggiolo, 1513-'21. 
Faenza, Collezione Cora, Museo Internazionale delle Ceramiche.

 

 

13. Coppa a grottesche con al centro lo stemma di papa Leone X, e tutt'attorno emblemi medicei. All'esterno compaiono, alternati con quello Medici, gli scudi degli Orsini, dei Salviati e degli Strozzi. Cafaggiolo, 1513-21.

Londra, British Museum.

 

l'importanza, dopo gli eccezionali risultati dello scavo del "pozzo dei lavatoi",eseguito a partire dal 1973, ha trovato una degna collocazione nel museo locale,piccolo ma esemplare per la chiarezza didattica dell'impostazione.

Dalle sue collezioni provengono i due boccali e i tre piatti esposti in mostra (schedenn. 4-8), tutti di scavo dal sottosuolo montelupino, cosa che ne spiega il cattivo statodi conservazione. Essi documentano alcune fra le tipologie più comuni del primo quarto del secolo XVI, quando la produzione ceramica è più varia e abbondante, e lpiccola città sembra agire come "fornace" della vicina Firenze; i vasai localricevono infatti finanziamenti da imprenditori fiorentini, che ne acquistano a scatolchiusa per un certo numero di anni l'intera produzione, mentre diminuiscono lbotteghe nella città maggiore (29).

Dall'esame del vastissimo materiale di scavo è possibile rilevare come la qualità del prodotto si mantenga di livello medio, senza punte di particolare raffinatezza, con pochi istoriati, ma proprio per questo con una potenziale committenza quanto mai vasta. Secondo il Berti, la decadenza comincia infatti quando, dopo la metà del '500,
a seguito di una crisi economica generalizzata, si allarga la distanza fra i ceti ricchi quelli medi, che si impoveriscono; la richiesta penalizzò infatti proprio il prodotto medio, puntando da un lato su oggetti più a buon mercato, dall'altro su quelli qualitativamente migliori e più nuovi di Faenza e di Savona (30).

Fra gli esemplari esposti, tutti contrassegnati dalle armi medicee, soltanto il piatto n4 reca una data sicura, il "1514".

È probabile che anche gli altri non siano cronologicamente distanti, e si riferiscananch'essi al momento in cui i Medici, rientrati a Firenze dopo l'eclissi temporaneafavoriscono una ripresa del loro stemma nella decorazione ceramica.

Il piatto datato reca lo scudo appeso a un festone e affiancato da due girali fioritimentre attorno alla tesa si svolge un caratteristico motivo a fiori e nodi graffiti sul blu di fondo, fino a scoprire la maiolica sottostante. Non sono molti i centri in cutale tecnica è diffusa, e Montelupo è fra questiIl "blu graffito" caratterizza anche la decorazione cruciforme attorno alla tesa del piatto n. 5, sul quale lo stemma, caricato di tiara e chiavi papali, allude quasi certamente a Leone X, vista la somiglianza stilistica col precedente.

Gli altri esemplari di Montelupo mancano di data, e di contrassegni araldici tali da contribuire a determinarla; occorre dunque basarsi su elementi di forma decorazione, che indicano il secondo - terzo decennio del secolo. È possibile vedere su due dei piatti un motivo "alla porcellana" piuttosto semplificato, e uno formato dmascheroni da grottesca alternati a palmette.

Nel boccale n. 10 lo stemma è racchiuso entro un grande anello diamantato, che sostituisce per l'occasione la più comune ghirlanda, mentre è usato comriempimento un grazioso motivetto a fiorami graffiti sul blu, con   

cornucopie chsimboleggiano l'abbondanza. In bruno, sotto l'attacco inferiore dell'ansa, vi è tracciata la sigla "Lo", che contraddistingue una bottega montelupina attiva fra lfine del XV e il primo quarto del XVI secolo (31).

Il modo con cui la sigla è tracciata, con la "o" appuntita verso l'alto, e alcuncaratteristiche dell'esecuzione permettono di riferire il boccale a un decoratore attivo per alcuni decenni nella bottega, che l'Alinari chiama "Pittore n. 4", autore anche di un importante boccale con lo stemma Medici-Salviati (fig. 15), probabilmente dcollegarsi al matrimonio fra Giovanni dalle Bande Nere e Maria Salviati, avvenuto nel 1516 (32).

La produzione a lui riconducibile è di livello elevato, e comprende tutte le principaldecorazioni in uso, fra cui il blu graffito; si distinguono gli ornati flore ali policromi rialzati dal brillante tono di rosso che costituisce uno dei vanti sia dei vasai montelupini che di quelli di Cafaggiolo.

Il rosso arricchisce la gamma dei colori anche sul boccale della scheda n. 8, che utilizza come riempimento uno degli ornati più comuni a Montelupo, una specie di griglia diagonale puntinata. Al centro, ecco di nuovo lo stemma mediceo, entro igrande anello diamantato che funge da cornice; l'impresa dunque, che come abbiamo visto risale circa alla metà del quattrocento, trova particolare favore nesecondo - terzo decennio del secolo successivo, periodo a cui si fanno risalirentrambi gli esemplari, e racchiude nel suo cerchio lo stemma vero e proprio.

Spesso però l'anello viene associato ad altri emblemi della famiglia, quasi precisarne il significato allusivo; lo troviamo, ad esempio, attorno a un falcone su uboccale del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, anch'esso attribuibile al "pittore n. 4" della bottega "Lo" (scheda n. 11).

Il falcone, anch'esso noto fin dalla metà del quattrocento, costituiva la divisa personale di Piero di Cosimo, e allude alla fedeltà, all'ardimento, ed anche allrinascita, in quanto muta le penne (33).

In questo caso, tuttavia, il boccale sembra essere più tardo, databile probabilmente fra il secondo e il terzo decennio del secolo, e il falcone rappresenta dunque lpersistenza di un emblema che fu ereditato dai discendenti diretti di Piero, fra cuGiovanni dei Medici - Leone X (34).

Nel 1523 un altro Medici sale al soglio pontificio: si tratta di Giulio, cugino del precedente pontefice, che assume il nome di Clemente VII, e il cui regno terminerà nel 1532. Come abbiamo visto, il suo stemma è uguale a quello di Leone X, e questo genera parecchia confusione nella datazione delle ceramiche su cui compare.

Un esempio è fornito da un vaso a lustro biansato di Deruta (fig. 16), in cui l'araldica non presenta alcun segno che permetta di distinguere fra i due pontefici.
Puntualmente, si dividono le opinioni degli studiosi che se ne sono occupati: mentre infatti il Robinson e il Fortnum ritengono trattarsi di papa Leone (35), 

 

15. Boccale con stemma MediciSalviati entro anello diamantato, e
decoro alla "palmetta persiana". Montelupo, 1516-'27 circa.
Firenze, Museo Nazionaldel Bargello.

 

16. Vaso a lustro biansato con stemma di Leone X o di Clemente VII, Deruta, secondo-terzo decennio sec. XVI.

Londra, Victoria and Albert Museum. 

 

il Rackham,notando come al blu e al lustro dorato si affianchi il giallo-arancio, preferiscavanzare la data fino al pontificato di Clemente (36).

In effetti, Clemente VII occupa un posto di riguardo nella produzione derutese, sui cui piatti da pompa sono peraltro effigiati molto spesso gli stemmi papali, poiché Perugia e i suoi castelli appartenevano allo stato della Chiesa, ed erano assai stretti i rapporti commerciali con Roma.

Sono dedicati a Clemente, fra l'altro, alcuni piattelli a girali con piccole foglie a goccia che terminano in grandi infiorescenze ovali (fig. 17). Si tratta di vasellame dtavola, non da pompa; lo stemma mediceo, ovale entro cornice miniata e affiancatda lacci, non reca le insegne papali, ma sotto la palla superiore, gigliata, si dispiegil nome "Clemens". Questo servizio è prezioso per datare tutta la tipologidecorativa ad esso collegata, di cui parecchi frammenti sono stati trovati in scavi romani; Deruta infatti, come Montelupo, produce quasi interamente per l'esportazione, e dipende finanziariamente e culturalmente dalla cit maggiore, in questo caso Perugia, di cui costituisce quasi il sobborgo ceramico.

L'esemplare più importante su cui compaiono lo stemma e il nome di Clemente è probabilmente il grande piatto toscano del Kunstgewerbemuseum di Berlino (fig. 18).
S
i tratta di un esemplare da pompa, di grandi dimensioni, in cui lo stemma del  pontefice, sorretto da angeli, è affiancato dalle allegorie della Fede e della Carità, eè inquadrato da una grande arcata, su cui è la scritta "CLEMENTE VII.POT.MAX."
Esso sovrasta quelli dei Salviati e degli Strozzi, famiglie entrambe più volte imparentate coi Medici: ricordiamo, ad esempio, il matrimonio di Lucrezia, figlia dLorenzo il Magnifico, con Giacomo Salviati; quello di Laudomia, figlia di Lorenzo di Pierfrancesco, con Francesco Salviati (1502); e quello della nipote omonimaLaudomia, che nel 1532 sposò in prime nozze Alamanno Salviati. Un'altra figlia dLorenzo, Clarice, aveva inoltre sposato, nel 1508, Filippo Strozzi.

La splendida fattura del piatto ha indotto la maggior parte degli autori a considerarlopera di Jacopo, il pittore più abile della bottega di Cafaggiolo.

Gli stemmi medicei sono, come si può vedere, particolarmente frequenti nellceramica dell'Italia centrale; non mancano tuttavia nemmeno in quella di Faenza, il più noto centro della Romagna. Faentino, ad esempio, è il piccolo boccale del Museo internazionale delle ceramiche con lo scudo di Clemente VII (scheda n. 12)la cui cronologia risulta fissata sulla base della somiglianza di alcuni suoi particolari decorativi con quelli di un boccale conservato nelle collezioni del Museo civico di Bologna, e datato "1533'' (37).

Vi è poi il grande piatto del Victoria and Albert Museum di Londra con lo stemmd'alleanza Medici-Strozzi (fig. 19) che presenta un ornato a rabeschi tracciati in ble bianco su smalto azzurrato, ed è circondato al bordo dal caratteristico festone di Faenza, dalle foglie rigide e allungate e dai piccoli 

 

frutti rotondi. La tipologiacorrisponde allo stile della prima metà del ' 500, ed è fra le più comuni nell' area faentina, collegata alle botteghe dei Pirotti e dei Bergantini.

L'araldica si presenta ambigua, essendo almeno tre i matrimoni che legarono gli Strozzi ai Medici per il periodo indicato: quello già menzionato di Filippo Strozzi con Clarice, avvenuto nel 1508, e quelli di Pietro e Roberto Strozzi con Laudomia e Maddalena, figlie di Pierfrancesco, avvenuti nel 1539. L'ipotesi generalmente accettata è che si tratti di Clarice, che morì prima del marito, nel 1528. Il Rackam
v
i trova una conferma nel fatto che ella era solita, firmandosi, invertire l'ordine dei cognomi consueto alle donne sposate, mettendo prima il proprio, e poi quello del marito; questa inversione si verifica infatti anche nello stemma d'alleanza sul piattodove, nella parte riservata di regola alle armi del marito, si trovano invece quellmedicee, pur non risultando matrimoni fra uomini della famiglia Medici e donne dquella Strozzi (38); se questo fosse vero, ci troveremmo però, araldicamente parlandodi fronte a un caso eccezionale e privo di riscontri.

Il piatto, su cui le palle medicee sono colorate in una intensa tonalità rossastra, si collega tipo logicamente a una interessante produzione faentina di pezzi con stemmi toscani, fra i quali ricorderemo in particolare il servizio Guicciardini-Salviati, che reca le armi dello storico Francesco e di Maria Salviati. Esso si giustifica storicamente col fatto che il Guicciardini fu nominato da Clemente VII vicario dellRomagna nel 1524, e Faenza era una delle sue sedi. Su un piatto del servizio, attribuibile alla mano del Maestro della coppa Bergantini e datato "1525", è illustrata la battaglia dei centauri e dei lapiti (fig. 20) ed è interessante notare come anche qui la gamma dei colori, piuttosto spenta, sia ravvivata dalla presenza del rosso (39). Altri esempi con caratteristiche simili, su smalto azzurrato e riferibili più meno allo stesso periodo, sono forniti dai piatti con lo stemma d'alleanza Strozzi-Ridolfi, legato al matrimonio fra Roberto Strozzi e Marietta di Simone Ridolfi (40), e da quelli con le armi dei Salviati (41).

L'unione di stemmi diversi non avviene soltanto per matrimoni, ma anche per particolari vincoli di gratitudine e di clientela politica, o per adozione; ecco dunque che, sul piatto del Victoria and Albert con il "ritrovamento di Mo" (fig. 21), lo stemma di Antonio Pucci è unito a quello di Clemente VII, che lo aveva elevato allporpora e a cui era molto legato. Allo stesso modo Silvio Passerini da Cortona aveva messo in capo al proprio scudo le armi dei Medici, cui era devotissimo: era infattstato il datario di papa Leone, ed aveva goduto poi della stima di Clemente VII. Il suo stemma, col capo mediceo, compare su un piatto da pompa nelle collezioni del museo del Bargello (fig. 22), forse commissionato alle officine derutesi quando Silvio rivestiva la carica di legato di Perugia, dal 1520. Il cardinale morì nel 1529 ea partire dal 1523, aveva ricevuto l'importante incarico da parte del papa di assistere i giovani Ippolito e Alessandro nel governo di Firenze.

 

18. Grande piatto con stemma di Clemente VII fra due figure
a
llegoriche, con un arco di trionfo sullo sfondo, su cui si trovano gli stemmi Salviati e Strozzi. Cafaggiolo, 1523-'34.

Berlino, Kunstgewerbemuseum.

 

Dopo le vicissitudini del sacco di Roma e della ribellione di Firenze, Alessandro fu designato per volere papale duca di Toscana; sposò nel 1536 la giovanissima Margherita d'Austria, figlia naturale primogenita di Carlo V, e dopo pochi mesi, agli inizi del 1537, fu ucciso dal cugino Lorenzino. Al suo matrimonio potrebbe riferirsi un piatto ornato al centro con lo stemma d'alleanza Medici-Austria, entro un giro di motivi vegetali stilizzati "alla porcellana" (scheda n. 13).

Il piatto sarebbe stato dunque eseguito nella seconda metà del 1536, permettenduna datazione estremamente precisa della tipologia decorativa in esso rappresentata.
Tuttavia la forma particolarmente evoluta, e talune somiglianze del ductus grafico con il decoro di un boccale le cui armi sono sovrastate dalla corona granducaleottenuta dai Medici solo nel 1569, ci fanno sorgere il sospetto che l'avvenimento cui lo stemma allude sia in realtà successivo. Potrebbe trattarsi, ad esempio, del matrimonio fra Francesco I e Giovanna d'Austria, avvenuto nel 1565, e che terminò con la morte di lei nel 1578. In questo caso, occorrerebbe collocare p avanti la datdi questa particolare stilizzazione del decoro "alla porcellana", per la quale il piattello costituisce un punto di riferimento basilare (42).

Al matrimonio del padre di Francesco, Cosimo, con Eleonora da Toledo si richiamcon certezza un grande piatto da pompa derutese del Museo di Écouen (fig. 23)Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e di Maria Salviati, nipote quindi di Caterina Sforza, succedette nel 1537 al duca Alessandro. Nel 1539 sposò Eleonora, figlia del vicerè di Napoli don Pedro Alvarez de Toledo. Fu il primo a ricevere il titolo di Granduca, dal papa Pio V, e morì nel 1574, dodici anni dopo la moglie. Il piatto fu quindi eseguito fra il 1539 e il 1562; esso reca, sopra lo scudo riccamentminiato, una corona ducale attraversata dalle tre piume, che allude chiaramente all'emblema dell'anello.

La decorazione della tesa presenta la tipica scompartizione derutese che, in questo caso, alterna embricazioni e foglie lanceolate a giral i fioriti. Come motivo di riempimento, nell'incavo sono usati i piccoli fiori quadripetali del decoro "aarabesco", la cui data più precoce il 1514, ma che continuò ancora a lungo sul vasellame di Deruta (43). Si tratta evidentemente non di un generico omaggio ma di uncommissione specifica, forse in previsione di un dono, per il quale ci si rivolse allmanifatture umbre, che erano specializzate in oggetti da parata.

In quest'ambito rientra anche il grande piatto del museo Ariana di Ginevra con lo stemma di papa Pio IV (fig. 24), Giovannangelo Medici da Marignano, che fu eletto nel 1559 e morì nel 1565. Non discendeva dalla celebre famiglia fiorentina, ma apparteneva ai Medici di Nosigia, una delle più importanti diramazioni del ramo milanese dei Medici, che alcuni storici del XVII secolo ritengono collegato a quelldi Firenze.

Il fratello Gian Giacomo, che aveva conseguito, dopo una brillante carriera , 

militare il titolo di marchese di Marignano, lo chiamò a Roma, dove divenne un grandprotetto di Paolo III Farnese. Divenuto a sua volta pontefice, a lui si deve lconclusione del Concilio di Trento, le cui sedute erano state per lungo tempsospese, e che egli riconvocò su ispirazione di Carlo Borromeo, futuro santo, figlidi sua sorella Margherita e suo stretto consigliere e collaboratore.

Ad una produzione più comune, forse eseguita per motivi clientelari, sembrano invece doversi attribuire alcuni boccali del Museo di Roma (schede nn. 18-19) della cui tipologia si sono trovati frammenti nel sotto suolo della città (44)'. Essi furono eseguiti probabilmente come omaggio a papa Pio IV, oppure possono essercollocati nel periodo in cui il cardinale Ferdinando dei Medici, futuro granduca di Toscana e fratello di Francesco I, soggiornò a Roma (1574-1587). Egli iniziò qui la costruzione della villa Medici al Pincio, e radunò un'importante collezione di marmi antichi attualmente agli Uffizi (45). Questi boccali, dalla forma rotondeggiante, tipica della produzione romana, recanti lo stemma sul ventre, sottolineano quindi l'importanza della presenza medicea a Roma nella seconda metà del '500.

Dopo la sua elezione a granduca, Ferdinando abbandonò la porpora cardinalizia per sposare Cristina di Lorena nel 1589. A questo matrimonio rimandano alcunimportanti fiasche, di manifattura montelupina (fig. 25), che recano lo stemma Medici-Lorena entro un motivo a grottesche su fondo bianco (raffaellesche)derivate dalla decorazione ceramica urbinate.

Questo gruppo di oggetti particolarmente raffinati presenta oltre a tutto inserti di medaglioni con cammei e ritratti, che ne sottolineano la destinazione da parataprobabilmente su diretta commissione della corte.

Ad una produzione elevata, ma più specificamente farmaceutica appartengono invece i versatori, anch'essi con decoro a raffaellesche, con lo stemma Medici-Austria, questa volta in relazione al matrimonio fra Cosimo II e Maria Maddalena d'Austria, avvenuto nel 1608. L'esemplare qui esposto (scheda n. 24) reca la data "1617", mentre un altro piatto dello stesso servizio, anch'esso nel Museo del Bargello, è datato "1626" (46), e testimonia come la granduchessa continuasse a commissionare opere con il proprio stemma matrimoniale anche dopo la morte del consorte, avvenuta nel 1621.

Anche il disco del museo di Deruta (scheda n. 25), molto simile per lo stemma e lstilizzazione decorativa, è opera della stessa manifattura di Montelupo che produsse i versatori.

Difficilissimo invece proporre un'attribuzione per il piatto su cui figura lo stemmGonzaga-Medici (scheda n. 22): il riferimento è a Vincenzo Gonzaga ed Eleonordei Medici, figlia di Francesco I, sposi nel 1584, oppure alle nozze tra Ferdinando Gonzaga e Caterina, figlia di Ferdinando I, avvenute nel 1617.

Stilisticamente, entrambe le ipotesi sono possibili: il piatto appartiene infatti 

 

21. Piatto del servizio con stemma Medici- Pucci, con il "ritrovamento di Mo", Urbino, 1531-'44.

Londra. Victoria and Albert Museum.

 

22. Piatto da pompa con lo stemma Medici-Passerini, entro tesa a
sc
omparti. Deruta, 1520-'29.
Fir
enze, Museo Nazionale del Bargello. 

 

alla tipologia dei "Bianchi", collocabile fra la seconda metà del secolo XVI e la prima del XVII, che valorizzano particolarmente lo smalto di base, bianchissimo e straordinariamente ricco e pastoso, con forme elaborate e decorazione veloce e "compendiaria".

I "bianchi" furono inizialmente un vanto della ceramica faentina, tuttavia si diffusero con estrema rapidità in altri centri italiani, e più tardi addirittura europei.

Sebbene il piatto Gonzaga-Medici sia stato talvolta attribuito a Faenza (47), lasciperplessi la stilizzazione graficamente precisa dello stemma, che sembra aver poco a che vedere con la rapidità di tocco del compendiario faentino. Il Mallet ne ipotizza la provenienza da officine toscane, forse monte lupine (48); non bisogna però dimenticarche anche Mantova ha avuto una produzione di maiolica, e che vi erano presenti maiolicari di altri centri, sia toscani che faentinì (49).

Per quel che riguarda la ceramica toscana, il secolo XVII sembra essere stato un periodo di progressiva decadenza. Montelupo produsse sapidi piatti di tono popolaresco, ma l'epoca del granduca Ferdinando II (1625-'70) non sembra avere favorito alcuna importante ripresa qualitativa di queste manifatture, che pure continuarono ad avere un notevole diffusione a livello popolare.

Il granduca fu particolarmente amante delle scienze e della pittura contemporaneaincremen le collezioni e favorì la produzione dei mosaici in pietra dura; lceramica non fu probabilmente tra i suoi interessi, anche per il difficile momento che essa stava attraversando sia in Toscana che nel resto d'Italia.

Possiamo però notare il particolare sviluppo di una produzione di orci e vasi localizzata a Santa Maria Impruneta, legata sia a una destinazione farmaceutica (ad esempio, per S.Maria della Scala, datata 1661 (50) sia a complessi architettonici come ville e giardini (fig. 78).

E tuttavia proprio al matrimonio di Ferdinando II con Vittoria della Rovere (1634), ultima discendente dei duchi di Urbino, dobbiamo la presenza a Firenze, nelle collezioni medicee, di alcuni capolavori della maiolica urbinate del '500, che attualmente si trovano in parte al museo del Bargello.

Si apprezzava a corte la prestigiosa maiolica cinquecentesca, mentre le officine contemporanee tendevano ad abbassare il proprio livello ad una produzione senza alcuna pretesa di eleganza, ma di grande praticità e diffusione.

I boccali provenienti dalla fortezza medicea di Grosseto (schede nn. 27-29), datati fra la fine del '600 e gli inizi del '700, testimoniano questa produzione di uso quotidiano, nella loro semplicità sia di forma che di grafia decorativa. Lo stemma, che congiunge le palle medicee e la balzana di Siena, è infatti tracciato in maniera estremamente corsiva, ed unisce l'omaggio alla dominazione medicea con il segno di appartenza al territorio senese, da cui la provincia maremmana fu staccata soltanto nel 1766. 

E’ questa l'epoca dei granduchi Cosimo III (1670-1723) e Gian Gastone (1723-37), che segna la piena decadenza della famiglia, che si estingue nel 1737 lasciando lsuccessione ai Lorena.

E’ tuttavia possibile ricordare un ultimo episodio di mecenatismo dei Medici nei confronti della ceramica, la protezione accordata da Violante di Baviera, vedova di Ferdinando dei Medici, governatrice di Siena, ai Terchi, maiolicari originari di Bassano di Sutri, e al senese Ferdinando Maria Campani, che onorarono la lorbenefattrice dando il suo nome alle proprie figlie (51). Si tratta naturalmente di
protagonisti di eccezione nel campo della maiolica, che nobilitano l'arte in un momento in cui essa può ancora esprimersi a livelli qualitativamente altissimi, primdell'inevitabile declino della fine del secolo, di fronte alla concorrenza dellporcellana e della terraglia.


NOTE

1.  Archivio di Stato di Firenze, Carteggio Medici avanti il principato, in G. Guasti,Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramiche in Toscana ... , Firenze 1902, p. 461 appendice2.  6 scodelle, 6 scodellini, 6 quadri tondi, 2 piattelli grandi, 2 piattelli mezzani, 4 piatttelletti da posare,5 tazze, 1 bacino colla mescirobbe, 2 coppe da frutti, 2 confettiere col coperchio, due candelieri, 1 rinfrescatoio.

3.  Archivio di Stato di Firenze, Carteggio privato dei Medici, filza 43. In Gaye, Carteggio inedito d'artisti dei secoliXIV, xv, XVI, pubblicate ed illustrate con documenti pure inediti, Firenze 1839, tomo I, pp. 304-305.

4.  A. Rubbiani, Una piccola fabbrica di ceramiche nel 'Podestà' di Bologna ?, in "Faenza" I, 1913, p. 72.

5.  A. Satolli, Fortuna e sfortune della ceramica medioevale orvietana, in "Ceramiche medioevali dell'Umbria", a cura di G. Guaitini, Firenze 1981, p. 68 e nn. 51 e 119.

6.  Ib. nn. 51 e 119.

7.  U. Nicolini, Divagazioni sull' arcaico derutese, in "Omaggio a Deruta", Firenze 1986, p. 23.

8.  U. Nicolini, La ceramica di Deruta: organizzazione, economia, maestri. I documenti. In "Antiche maioliche di Deruta", a cura di G. Guaitini, Firenze 1980, p. 23.

9.  M. Spallanzani,M aio/iche di Valenza e di M, ontelupo in una casa pisana del 1480 , in "FaenzaLXXII, 1986,3-4,164-169.

10.  Ibidem p. 166.

11.  T. Wilson, Maioliche rinascimentali armoriate con stemmi fiorentini, in "L'araldica fonti metodi", atti del Convegno Internazionale di Campiglia Marittima, 6-8 marzo 1987, GiuntRegionale Toscana 1989, pp. 128-131.

12.  A. Frothingham, Lustreware of Spain, New York 1951, p. 127.

13.  T. Wilson, Some Medici devices on pottery, in "Faenza" LXX, 1984,5-6,433.

14.  F. Ames Lewis, Early M edicean devices, in "J ournal of the Warburg and Courtauld Institutes"42, 1979, pp. 126-127.

15.  M. Spallanzani, Il vaso Medici-Orsini di Detroit in un documento d'archivio, in "FaenzaLX, 1974, IV-VI, p. 90.

16.  U. Middeldorf, Medici Pottery of the 15th century, "Bulletin of the Detroit Institute of Arts"XVI, 1937, fasc.III. Anche in "Faenza" XLI, 1955, I-II, pp. 3-7.

17.  Ad esempio in T. Wilson, op. cit. 1989, fig. 8, p. 132.

18.  M. Spallanzani, op. cit., pp. 89-90.

19.  inv. MLA 1892,6-17,2, T. Wilson, Ceramic art oftheItalian Renaissance, London 1987, n.19.

20.  M. Gonzales Marti, Ceramica del levante espaiiol, Barcellona 1944, pl. 523, fig. n. 637.

21.  Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di G. Milanesi. RagionamentiFirenze 1973, VIII, p. 120.

22.  P. Giovio, Dialogo delle imprese militari e amorose, Roma 1978, p. 75.

23.  B. Rackham, Victoria and Albert Museum, Catalogue oj Italian Maiolica, London 1940, n. 318, pp. 111-112.

24.  Per un quadro aggiornato dell'attività ceramica a Cafaggiolo, v. A. Alinari, Maiolichmarcate di Cafaggiolo, Museo Nazionale del Bargello, Firenze1987. Per l'affitto pagato dai vasai alla famiglia proprietaria del castello, v. G. Cara, Storia della maiolica di Firenze e del contado: secoli XIV e XV, Firenze 1973 p. 115. Per la lettera in cui, nel 1521, il maestro di casa di Lorenzo di Pierfrancesco, all'epoca proprietario del castello, si dice pronto all'invidi maioliche che aveva acquistato dai vasai, v. G. Guasti, op. cit., 1902, p. 107.

25.  Come rileva l'Alinari (op. cit. p. 9) occorre però spiegare come mai le opere attribuite a J acopo appartengano tutte al primo quarto del secolo, mentre il pittore risulta ancora attivo fino al 1576.

26.  G. Cora e A. Fanfani, La maiolica di Cafaggiolo, Firenze 1982, n. 14.

27.  T. Wilson, Some Medici Devices on pottery, in "Faenza"LXX, 1984,5-6, p. 435. Il riferimento che sostiene questa interpretazione è dato dal fatto che su uno degli archi eretti in occasione dell'incoronazione del papa, nell'aprile 1313, figurava la ruota della fortunimmobilizzata affinché il papa ne potesse fruire per sempre.

28.  A. Alinari, Un piatto araldico ed il problema dei lustri a Cafaggiolo, in "Ceramica antica"Ferrara, anno I, n. 3, marzo 1991, pp. 25-32.

29.  Ricordiamo il notissimo documento con cui Francesco Antinori si impegna ad acquistare direttamente per tre anni l'intera produzione di ventitré botteghe montelupine; inoltre, dopo l'assedio imperiale del 1530, non risulta vi fossero più in Firenze manifatture di ceramica (F. Berti,Premessa, in F. Berti - G. Pasquinelli,Antiche maioliche diM ontelupo, secoliXIV-XVIIIPontedera 1984, p. 9).

30.  F. Berti - G. Pasquinelli,Antiche maioliche diM ontelupo, secoli XIV-XVIII, catalogo di mostra, Pontedera 1984, p. 10.

Perle notizie sulla bottega "Lo" e sul pittore "numero 4", v. A. Alinari, Una bottega di maiolichin Montelupo agli inizi del XVI secolo, in "Atti del XVI convegno internazionale dellceramica, 1983", Albisola 1985, pp. 199-206.

 

32.  Ib. p. 201.

33.  F. Ames Lewis, op. cit., pp. 134,135,138.

34.  F. Ames Lewis, op. cit., pp. 135-136.

35.  J. C. Robinson, Catalogue ofthe Soulages Collection, London 1856, p. 61.

C. D. E. Fortnum, A descriptive catalogue of the majolica, hispano-moresque, Persian,
Damascus Rhodian wares in the South Kensington Museum, London 1873, p. 217.

36.  B. Rackham, Victoria andAlbert Museum. Guide to Italian maiolica, London 1933, p. 46.

Id., Victoria andAlbert, Department ofceramics. Catalogue ofltalian majolica, London 1940,
n.488.

37.  C. Ravanelli Guidotti, La donazione Angiolo Fanfani, in "Faenza" 1990, p. 275.

38.  B. Rackham, op. cit. 1940, pp. 16-22.

39.  MLA 1855, 12-1,65., in T. Wilson, op. cit. 1987, n. 45.

40.  Sévres, museé national de la ceramique, inv. 3630, J. Giacomotti,Les majoliques des musées
nationaux, Parigi 1974, n. 299.

41.  British Museum, inv. MLA 1855,12-1,100, in Wilson op. cit. 1987, n. 113.

42.  A. Moore Valeri,La mezzaluna dentata. Le sue origini ed il suo sviluppo, in "Faenza" LXX,
1984, 5-6, pp. 376 e 378.

43.  C. Fiocco - G. Gherardi, Ceramiche umbre dal medioevo allo storicismo, parte prima, Faenza
1988, p. 86.

44.  M. Ricci, Note sul consumo della ceramica da mensa nel conservatorio di Santa Caterina
della Rosa, in Roma, secoli XVI e XVII, in "Atti del XIX convegno internazionale della
ceramica", Albisola, 1986, pp. 221, fig. 5.

45.  Artisti alla corte granducale, catalogo di mostra, Firenze1969, p. 11.

46.  Inv. maioliche n. 621, in G. Conti,MuseoNazionale di Firenze, palazzo delBargello, Firenze
1971, n. 621.

47.  G. B. Siviero, Ceramiche nel palazzo ducale di Mantova, catalogo di mostra, Mantova 1981,
p. 74. M. Palvarini Gobio Casali, La ceramica a Mantova, Ferrara 1987, p. 207.

48.  1. Mallet, Pomp and Circumstance, in "Splendours of the Gonzaga", a cura di D. Chambers
e
J. Martineau, catalogo di mostra, London 1982, p. 239.

49.  G. B. Siviero, op. cit., pp. 34-35. M. Palvarini Gobio Casali, La ceramica a Mantova, op.
cit., p. 220.

50.  A. Alinari, Ceramica postmedievale in zona fiorentina. Un profilo. In "Ceramica toscana dal
medi
oevo al VIII secolo", a cura di G. C. Bojani, catalogo di mostra, Monte San Savino 1990,
p. 133 e p. 150.

E. Pelizzoni - G. Zanchi, La maiolica dei Terchi, Firenze 1982, introduzione, "A Siena",
senza indicazione di pagina.

 

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