Aspetti dell'istoriato derutese: l'opera tarda di Giacomo Mancini detto "Il Frate" e della sua bottega.

Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in " Faenza", bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, LXXXI, 1995, 1-2, p. 5-9

 

L'occasione per riparlare di Giacomo Mancini da Deruta, soprannominato "Il Frate", ci è offerta dal passaggio sul mercato antiquario di tre esemplari di alto livello,che appartengono alla fase più tarda della sua attività, quella forse meno conosciutaanche se discretamente rappresentata nelle collezioni pubbliche e private. Infatti la famadel maestro è in massima parte legata a un gruppo di opere le cui date vanno dal 1541al 1545, e che abbiamo altrove esaminato (I).' Occorre però tenere presente che soltanto nel 1581 Filippo, Andrea e Africano, suoi figli, divisero fra loro i beni familiarirendendoci edotti della recente morte del padre (2). Dopo la prima serie di opere quindi l'attività di Giacomo prosegue per almeno altri trenta anni, durante i quali il suo stilesubisce una evoluzione, condivisa sotto alcuni aspetti dall'intera produzione derutese.

Già nelle opere degli anni quaranta, a lustro o in semplice policromia, illustrate per lo più con scene dell'Orlando Furioso e delle Metamorfosi di Ovidio, la personalità del maestro si impone all'attenzione per il segno ricco di vivacità e capacità narrativaanche se le figure sono talvolta articolate con una certa rigidezza, cui non è però estraneo il modellò grafico, e le proporzioni non sempre sono rispettate. Il lustro saccosta al blu, al giallo, all'arancio e al verde, ma, poiché si limita all'oro, mantiene la gamma generale entro tonalità sostanzialmente fredde. In sua assenza, i colori acquistano intensità e calore, mentre le ombreggiature dei corpi vengono spesso eseguite in grisaille. Inoltre Giacomo dà subito prova di saper tradurre secondo le esigenze della maiolica le stampe da cui deriva l'iconografia, modificandone liberamente particolari e sfondo. Si tratta quindi di un temperamento dotato e aperto al nuovo, sensibile allmaniera marchigiana introdotta forse da Francesco Urbini, quando questi si trovò a passare per Deruta, dopo aver operato per un certo periodo a Gubbio (3). Caratteri notevolmente diversi presentava infatti il precedente istoriato derutese, legato com'era alla brulicante vivaci del Maestro della Passione di Ravenna, e successivamentall'algida, elegantissima grafia del Maestro del Pavimento di San Francesco, che predilige al contrario pochi personaggi monumentali. Con Giacomo si introduce una vena narrativa che denota il contatto con i decoratori della grande tradizione urbinate, autordi scene complesse di scenografica spazialità, per le quali si attinge all'immenso repertorio di stampe che accompagna e fa seguito all'opera dei grandi del Rinascimento.

È tuttavia solo a partire dagli anni cinquanta che lo stile del Frate può dirsi davvero compiuto, avendo acquisito organicità e sicurezza. Vi si avverte una maggior monumentalità, e l'accentuarsi, nelle fisionomie dei personaggi e nell'ambiente che li circonda, di determinati caratteri che finiscono col formare il codice di una ben riconoscibile maniera, non soltanto sua personale, ma anche della bottega. Non si può


(1) C. FIOCCO - G. GHERARDI, Ceramiche umbre dal Medioevo allo Storicismo, Litografie Artistiche  Faentine, parte prima, Faenza 1988, pp.ll0-135.

(2) U. NICOLIM, La Madonna dei Bagni: il culto e la documentazione, in "Gli ex-voto in maiolica dellChiesa della Madonna dei Bagni a Casalina presso Deruta", Nuova Guaraldi, Firenze 1983, p.43,nota 4.

(3) A Deruta Francesco Urbini dipinse nel 1537 un piatto con storie di Apollo, privo di lustro (Londra,Victoria and Albert, inv. C.2159, B. RACKHAM, Catalogue oJ Italian Majolica, Victoria and Alberi Museum,

London 1940, n. 779); lV.G. MALLET, Francesco Urbini in Gubbio e Deruta, in -Faenza-, LXV (979), 6, p. 280.

 

infatti, nella maggioranza dei casi, operare una distinzione precisa. Se è probabile chesiano state eseguite da lui personalmente le opere giovanili, le sole nelle quali compare la sua firma, in seguito gli stessi modi si riscontrano più o meno accurati su un numero vastissimo di pezzi, che denotano l'intervento di collaboratori. Evidentemente, il fatto che essi lavorassero sotto la direzione del maestro fa sì che lo stile si manifesti in maniera piuttosto unitaria, anche se con notevoli dislivelli qualitativi, nell'ambito di una produzione che comprende sia esemplari unici e probabilmente legati a commissioni precise, sia seriali destinati a un più ampio mercato. Questo è ben visibile negli innumerevoli piatti da pompa con santi, cavalieri, scene proverbiali che talora mostrano una certa cura e finezza, talaltra un tratto affrettato e un po' scomposto, dove sono esasperati i caratteri stilistici che, nelle esecuzioni migliori, presumibilmente di mano del Frate, mantengono sempre una loro armonia (4).

Sono di questo periodo anche numerose targhe a soggetto religioso, fra cui ci sembrano particolarmente rappresentative quella della collezione Cora nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, con la raffigurazione della Madonna in trono fra i santi Antonio Abate e Sebastiano (5)quella del Museo Fitzwilliam di Cambridge con la Crocefissione, quella dei Musées Royaux d'Art et d'Histoire di Bruxelles con la Pietà. È infine interessante notare come perda ormai di importanza illustro che, se ancora rimane in taluni piatti da pompa (6), non viene però più utilizzato nelle opere di maggior portata, per le quali è decisamente preferita la policromia. Il mutamento stilistico comincia a delinearsi già nel 1554, anno in cui il Frate dipinge un piatto col Trionfo di Scipione tratto da una stampa di Antoine Lafrery (7), e trova compiuta espressione nei due pavimenti di San Pietro a Perugia e di Santa Maria di Spello, rispettivamente del 1663 e 1666, che costituiscono le ultime opere per le quali esiste una documentazione d'archivio. È dunque bene fare riferimento ad essi per enuc1eare la maniera "anni sessanta" del "Frate", in quanto opere sicure e di grande varietà decorativa (8). Il tratto più apparisèente è dato da una maggiore monumentalità delle figure, che tendono a dilatarsi: la muscolatura ed altri particolari anatomici vengono enfatizzati, gambe e braccia appaiono potenti e muscolose, con le giunture

 

(4). Citeremo. fra i moltissimi esempi. i seguenti: Lìmoges, Musée Adrien Dubouchè, invv. 5500 e 5502 C J. GIACOMOTTI, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Editions des Musées Nationaux, Paris 1974, nn. 506 e 521); Parigi, Musée de Cluny, oggi nel Chateau d'Ecouen, invv. 2449 e 2071 (ib. nn. 508 e 518); Parigi,

Musée du Louvre, inv. OA 1263 (ib. n. 509); Douai, Musée de la Chartreuse, inv. A.2976 (La majolique Italienne dans les Musées du Nord-Pas-de-Calais, Ed. de l'Association des Conservateurs de la Région Nord-Pas-de-CalaisLille 1986, n.I).

(5) Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, inv. 21324 Cc. FIOCCO - G. GHERARDI, op.cit., n269),

(6) V. ad esempio Londra, Victoria and Albert Museum, inv. 6665-1860 CB. RACKHAM, op.cit., n. 769)datato "1556".

(7) Parigi, Louvre, inv. OA 1730 0. GIACOMOTTI, op.cit., n. 922). La stampa è la replica di una precedente del "Maestro del Dado", e reca il nome del Lafrery, editore e incisore francese attivo a Roma dal
1550 al 1557, nell'arco di trionfo verso il quale si dirigono i protagonisti.

(8) Il primo si trova in una sala della sagrestia dell'abbazia di S.Pietro a Perugia, e reca la data "1563"Per esso esiste la registrazione dei pagamenti fatti dall'abbazia a un maestro indicato come "Frate da Deruta", oltre che come "Maestro del pavimento della sagrestia". Il secondo, strettamente affine, addirittura identico in alcuni aspetti della decorazione, si trova oggi nella cappella Baglìonì di S.Maria di Spello, mentre un tempo era ai piedi dell'altar maggiore. Come riferisce il Guardabassi, su una delle mattonelle comparivano le lettere "F.D", forse Frate da Deruta. Dal libro d'amministrazione relativo all'anno 1566 della chiesa apprendiamo che quell'anno furono spesi lO scudi e 27 baiocchi per il "Mo da Deruta che mattonò innanzi all'altar grande" CF.F. MANCINI, l pavimenti in maiolica di Deruta: problemi di lettura e di interpretazione critica, in "Antiche Maioliche di Deruta", Nuova Guaraldi, Firenze 1980, p. 48).

 

grosse e piedi e mani ben evidenziati. I colori sono ravvivati da intensi toni di verde e giallo-arancio, in contrasto col grigio-olivastro della grisaille con cui vengono il più delle volte ombreggiati i corpi e delineati i paesaggi. I visi, in particolare quelli femminili, assumono una ben distinta fisionomia, caratterizzata da una struttura allargata, piccolo mento e guance paffute sottolineate da due piccoli ponfi colorati. È possibile che abbia esercitato una sostanziale influenza un secondo incontro ravvicinato fra il maestro derutese e operatori urbinati, in occasione dei lavori per la Rocca Paolina di Perugia, la grande fortezza voluta da Paolo III a tangibile testimonianza del suo dominio (9).

A questa seconda fase dell'attività del Frate appartengono a nostro avviso le tre opere che abbiamo menzionato all'inizio, e che, sebbene in diversa sequenza cronologicapartecipano dei caratteri descritti. La prima è un grande piatto di 42 cm. di diametro; vi è rappresentato Muzio Scevola che compie il sacrificio della mano davanti al re Porsenna (Tavv. l,Il a.b,c), L'eroe romano è al centro di un complesso accampamentmilitare, tra soldati e cavalieri armati, con un vivace paesaggio sullo sfondo, mentre il re è seduto sotto un ricco padiglione in atteggiamento di stupore. In alto spicca contro il
cielo lo stemma Baglioni, d'azzurro alla fascia d'oro, sormontato da un elmo piumato ed  arricchito da elaborati lambrecchini. Un arancio vivissimo, in contrasto con i toni deverde e dell'azzurro, rialza la tavolozza. La storia è tratta da Livio (Ab Urbe Condita, II12), probabilmente con l'ausilio di un'edizione illustrata cinquecentesca. Si ripete, infatti, assai simile su un piatto del museo Anton Ulrich di Braunschweig, attribuibile alla bottega urbinate dei Fontana (10). Non ci sembra possano esservi dubbi sull'attribuzione al Frate, malgrado l'insolito numero di personaggi che affolla la scena, poiché i caratteri che ne contraddistinguono lo stile ricorrono tutti, nelle anatomie, nelle armi e cavalli, nella vegetazione e nel paesaggio. I personaggi, isolati, sono gli stessi che compaiono nei piatti da pompa coevi attribuibili alla bottega. In particolare, un piattdel Musée National de la Céramique di Sevres col profilo di un guerriero (Tav. IId) (11è talmente simile alla testa di Porsenna da far pensare anche per esso all'autografia deFrate. Anche i motivi di riempimento, i ciottoli, i ciuffi d'erba, i fiori e le foglie lobate ricurve appartengono al repertorio derutese. Per quel che riguarda lo stemma dei Baglioni, i potenti signori di Perugia schiacciati dalla vendetta di Paolo III dopo la "guerra del sale" del 1540, soltanto nel 1648 si estinsero con la morte di Malatesta, vescovo di Pesaro e poi di Assisi. A uno di loro era evidentemente destinato il piatto, sul
quale lo stemma è sormontato da un elmo e dal grifone perugino.

Il piatto con Muzio Scevola ci sembra particolarmente affine ad un esemplare con la raffigurazione del Parnaso, del Museo Alexis-Forel di Morges, presentato di recentproprio sulle pagine di questa rivista (12) (Tav. III). Poiché quest'ultimo è datato "1564",


(9) I pavimenti in maiolica degli appartamenti della rocca furono infatti commissionati a botteghe urbinati e derutesi, oltre che eugubine, e questo fatto, assieme alla presenza probabiimente collegata ddecoratori urbinati nella vicina Montebagnolo, deve aver fornito al Frate una nuova occasione di confronto (v. C. FIOCCO - G. GHERARDI, Maiolicbe umbre del secolo XVI - Orvieto, Gubbio,     Montebagnolo, Museo Nazionale del Bargello, Firenze 1991, p. 13).

(10) Inv. Nr. 635 0. LESSMANN, Italienische majolika. Katalog der sammlung Herzog Anton Ulrich Museum, Braunschweig 1979, n. 228). Un'iconografia vicina è anche su un piatto dell'Ashmolean di Oxford (TWILSON, Maiolica. Italian Renaissance Ceramics in the Ashmolean Museum, Oxford 1989, n. 27).

(11) Inv. 8389, J. GIACOMOTTI, op.cit., Editions des Musées Nationaux, Paris 1974, n. 496.

(12) A. MARIAUX, Prolégomènes à un catalogue des majoliques italiennes conservées dans les collections suisse, in «Faenza-, LXXVII (1992), 1-2, tav. XVa.

 

 

può fornire anche all'altro un utile riferimento cronologico. La scena è tratta da un'incisione manierista di Giorgio Ghisi (563), a sua volta derivata da Luca Penni, ed è fedelmente trascritta nei suoi personaggi principali, pur con alcune varianti: scompare, ad esempio, la viola posata a destra contro le rocce, mentre l'amorino, che nel Ghisi vola in alto a sinistra reggendo due corone, diventa un Cupìdo bendato saettante. Le varianti più importanti vengono però introdotte per poter riempire compiutamente la forma rotonda del piatto, e riguardano la continuazione del prato e del ruscello, in cui
nuotano alcune papere, e l
'aggiunta di una tromba abbandonata sull'erba. Inoltre lo sfondo è stato completato da alberi, cespugli e due gruppi di edifici sormontati da guglie turrite. Colpisce la facilità con cui Giacomo assimila l'eleganza manieristica del modello, conservandola intatta senza per questo rinunciare alla consueta disinvolta allegria, in una gamma decisamente dominata dagli aranci.

Al Frate è possibile attribuire con certezza anche una coppa su basso piede con la contemporanea rappresentazione di due imprese di Perseo (Tav. IV): al centro è Andromeda, legata alla roccia, mentre a sinistra il drago emerge dall'acqua ed affronta l'eroe, che cala su di lui dall'alto brandendo la spada e lo scudo. A destra Perseo è
raffigurato in atto di sollevare la testa di Medusa, il cui corpo decapitato egli calpesta col piede. Sullo sfondo è dipinta una città con case, torri e campanili: Anche qui la stilizzazione delle fisionomie e la peculiare tonalità dei colori, dominati da un arancio intenso, da un verde lumeggiato di giallo e da un azzurro vivissimo non consente di avanzare dubbi attributivi. Le anatomie sono modellate in grisaille, le onde, il cielo, i panneggi sono sottolineati da pesanti linee parallele che si svolgono, si incurvano e si annodano con vivace effetto decorativo. L'iconografia sembra rifarsi, con numerose
varianti, a una incisione di Giovanni Battista Fontana datata
"1569" (13). È infatti piuttosto puntuale il raffronto con la parte inferiore di Andromeda e con il drago. Il fatto però che non coincidano la posizione del viso di Andromeda e la figura di Perseo induce a pensare a un'altra fonte, forse un'edizione illustrata delle Metamorfosi di Ovidio, dove il mito è narrato (IV, 606 e seguenti), che non dovrebbe però discostarsi molto cronologicamente, vista l'abilità tutta manierista dello scorcio con cui Perseo si precipita dall'alto sul mostro marino.

Una terza opera ci appare più tarda, ed è un'alzata su basso piede con la parete baccellata (Tav. Va,b). Sullo sfondo di alcune rocce sommariamente tracciate è dipinta una donna seduta, a seno scoperto, con un libro chiuso in mano e una tavola su cui è scritto, se non ci inganniamo, "UBERA MEA LAC DISTILLANT AFFATI(M) ET NU(M)Q(UAM) SU(G)GESTIB(U)S I(L)LUD EST". Non conoscendo la fonte precisa né dell'iconografia né della citazione, riteniamo possa tr~tt~rgi di un'allegoria della Crammatica, che CM 1:1 Retorica e la Dialettica contribuisce a costituire le tre branche del Trivio. Nell'edizione romana dell'lconologia (1593) il perugino Cesare Ripa così descrive infatti l'allegoria della Grammatica: "Donna che nella destra mano tiene un breve, scritto in lettere latine, le quali dicono: 'Vox litterata, / articulata, debito modo pronunciata', nella sinistra una sferza, ù dalle mammelle verserà molto latte ... Il latte, che gl'esce dalle mammelle, significa che la dolcezza della scienza 


(13) Giovanni Battista Fontana (Verona 1524, Innsbruck 1587) eseguì le sue stampe tra il 1559 e il 1580,
operando soprattutto in Tirolo
(v, Incisori veneti dal XV al XVIII secolo, schede di Rosa d'Amico con la collaborazione di Marilena Tamassia, Tipografia Compositori Bologna, Bologna 1980, p. 53). 

 

 

esce dal petto e dalle viscere della grammatica"(14). L'immagine sull'alzata precede a nostro avviso l'opera del Ripa, non tanto però da non poterne condividere la trascrizione allegorica, anche se sono diverse le parole latine che l'accompagnano. L'impressione di trovarci di fronte a un'opera più tarda delle precedenti è dovuta al tratto libero, largo e sintetico, ed alla gamma dei colori menviva, già in sintonia con quella "languida" del compendiario. Siamo vicini a un terzo pavimento della bottega Mancini, eseguito per la famiglia Castracani, tuttora inedito, che si trova nei Musées Royaux d'Art et d'Histoire di Bruxelles. Esso si presenta simile a quelli di Perugia e di Spello per le grottesche distese a tappeto con ricche bordure, ma se ne differenzia per la colorazione più chiara e fredda. Verso gli anni '80 infatti lbottega del Frate sembra inclinare decisamente al compendiario, eseguendo grandi coppe e alzate nelle quali viene dato risalto allo smalto latteo del fondo, mentre la scena centrale è contornata dalla tipica coroncìna di foglie e fiori stilizzata. Appartengono a questo periodo, ad esempio, la coppa del Museo Regionale della Ceramica Umbra con Piramo e Tisbe (15), ma vi sono compresi anche esemplari assai più raffinati, come quello con Venere e Marte dello Sforzesco di Milano (16), e quello con il Giudizio di Paride del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (Tav. Vla.b), entrambi datat"1574".

  Nemmeno i freddi toni del compendiario riescono comunque a dissimulare quella che rimane la nota dominante della produzione tarda del Frate, e che la rende inconfondibile al di là delle specifiche stilizzazioni: una sorta di attraente bonomìa, un senso di allegria che costituiscono realmente la sigla del maestro. La disinvoltura espressiva, la simpatia e l'intonazione popolaresca con le quali egli ha impresso una svolta alla ceramica derutese, tendenzialmente aulica e classicheggiante nella prima metà del secolo, si accentuano sempre di più nell'opera della sua bottega, dove ormai i figli avranno occupato un ruolo importante, e sembrano estendersi alle altre, fino a caratterizzare la maggior parte della produzione secentesca, compreso quella destinata a committenti di rango elevato e di sofisticate preferenze iconografiche. Soltanto nel secolo XVIII, con Gregorio Caselli e le sue eleganti riprese dei motivi francesi e tedeschi a fiori e cineserie, si avrà il ritorno a un'impostazione più raffinata, anche se certo meno personale e divertente.

 

(14) Citato da C. RIPA, lconologia, a cura di Piero Buscaroli, Prefazione di Mario Praz, Editori Associati S.p.A., collana TEA ARTE, Milano 1992, p. 167.

(15) C. FIOCCO - G. GHERARDI, op.cu., 1988, p.l47, fig. n. 99.

(16) Inv. M 83 (G. BISCONTINI UGOliNI - J. PETRUZZEWS SCHERER, Maiolica e incisione. Tre secoli drapporti iconografici, Neri Pozza ed., Milano 1992, n. 32, p. 102). 

 

Aspects of Deruta istoriato style: the late work of Giacomo Mancini, so-called "Il Frate", and his workshop.


The description is given of three new examples produced in the workshop ofGiacomo Mancini, so-called "Il Frate", in Deruta after 1550: a plate depicting Muzio Scevola burning his hand, a fruitstand with the myth of Andromeda and another with an allegorical figure. Although they are not signed, they are clearly characterized by a
generous, discursive style, by the vivid colours
, al so to be found in the flooring of the sacristy in S. Pietro at Perugia and in Santa Maria Maggiore at Spello, dated 1563 and 1566. In the second half of the 16th century, Mancini's workshop moved away from the cold classical canons which permeated the work of previous craftsmen in this area, adopting flowing and at times exaggerated styles. This influence gradually spread to encompass all the workshops in the Deruta area, especially in the following century.
The fruit
-stand with the allegorical figure, the la test in chronological order, with the subtle deft strokes and the muted colours was a prelude to the compendiary sryle, -which was first introduced to Deruta with some splendid examples created by the
"Frate".

 


Aspekte der Deruta-Malereien: Das spàte Werk uon Giacomo Mancini, genannt "Il Frate", und seiner Werkstatt.


Hier werden drei bisher unbekannte Exemplare vorgestellt, die von der Werkstatt des Giacomo Mancini, genannt "Il Frate" (der Pater), aus Deruta nach 1550 ausgefuhrt wurden: Ein Teller mit Muzio Scevola mit der verbrannten Hand, ein Tablett mit dem Mythos der Andromeda und ein weiteres mit einer allegorischen Figur. Obwohl nicht signiert, sind diese Stucke durch einen ausfuhrlichen und beschreibenden Stil und durch lebhafte Farben gekennzeichnet, welche auch im Fuìsboden der Sakristei von S. Pietro in Perugìa und Santa Maria Maggiore in Spello aus 1563 und 1566 zu fìnden sind.
In der zweiten Halfte des 16. Jahrhunderts entfernt sich die Werkstatt von Mancini immer weiter vom kalten Klassizismus, der in den Werken seiner Vorganger aus Deruta vorherrscht und wendet sich einem flieisenden, teils karikaturistischen Stil zu. Diese
Einstellung wird allmahlìch von der gesamten P
roduktion aus Deruta ubernommen, insbesondere im folgenden Jahrhundert. Das spatere Tablett mit der allegorischen Figur kundigt in der schmalen und raschen Zeichenfuhrung und in den gedarnpften Farben den 'gedrangten Stil' an, der sich gerade durch einige hervorragende Exemplare des "Frate" in Deruta ausbreitet.

 

 

Quelques aspects de l'historié de Deruta: L 'oeuvre des dernières années de Giacomo Mancini dit "Il Frate" (le frère) et de son atelier.


On présente ici trois exemplaires inédits réalisés dans l'atelier du maitre de Deruta Giacomo Mancini surnommé "Il Frate" (le frère) après 1550: un plat représentant Mucius Scaevola en train de se brùler la main, une "alzata" (plateau à pied) représentant le mythe d'Andromède et une autre représentant une figure allégorique. Mèrne si ces trois pièces ne sont pas signées, elle sont bien caractérisées par une manière large et naturelle aux couleurs vivaces qu'on retrouve dans les pavements de la Sacristie de

Saint-Pierre à Pérouse et de Santa Maria Maggiore à Spello datés de 1563 et 1566.
Après la moitié du XVIe siècle l'atelier de Mancini s'éloigne de plus en plus des canons de froid classicisme prédominant dans les oeuvres des précédents maitres de Deruta en adoptant un style cursif et parfois caricatural:Ces caractères iront s'étendant graduellement à toute la production de Deruta, surtout au siècle suivant.

L' "alzata" à la figure allégorique, qui est chronologiquement la dernière dans le signe fin et rapide et aux couleurs estompées annonce le goùt compendiario", quijustement-avec quelques splendides exemplaires du "Frate" commence sa diffusion à Deruta.

 

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